Si svolgerà oggi pomeriggio, organizzato sempre da un noto lido sito in Punta Alice e sotto la direzione artistica di Alfonso Calabretta, la giornata dedicata alla cultura arbëresh nella sua totalità: arte, costumi tipici, ori, letteratura, musica e gastronomia. Alla manifestazione hanno collaborato in sinergia i Comuni di Carfizzi, Pallagorio, Umbriatico e San Nicola dell’Alto e l’associazione “I volenterosi” di Pallagorio. Parteciperà alla Kermesse il rinomato orafo di San Giovanni in Fiore Spadafora con gli antichi ori arbëresh. Sarà montato un telaio per la tessitura, saranno esposti degli antichi volumi, una mostra storica, dei costumi e coperte tessute arbëresh e per finire si assaporeranno alcune chicche della cucina tipica dei quattro Comuni. Il direttore artistico, Alfonso Calabretta, ci dichiara “che da questo evento possa nascere una mostra per farla veicolare nelle scuole così da capire ancora di più una cultura così vicina a noi ma così sconosciuta”. Parteciperanno all’evento gli amministratori dei quattro comuni e rappresentanti dell’Ass. “I Volenterosi” felici di mostrare la loro cultura nell’occasione dei cento anni della liberazione dell’Albania.
Cenni sulla comunità arbëresh
Carfizzi, Pallagorio e San Nicola dell’Alto costituiscono l’Arbëria Crotonese, ovvero sono le tre comunità di minoranza linguistica arbëreshe all’interno della provincia di Crotone. Esse si situano nel complessivo quadro nazionale delle minoranze linguistiche storiche albanesi riconosciute con la legge n.482 del 1999 che certifica la presenza in Italia di ben 50 comunità, sparse in tutte le regioni meridionali ed una anche in Abruzzo. Vengono definite storiche in quanto sono state fondate a partire dal 1400 con la fuga migratoria delle popolazioni albanesi, quasi una sorta di esodo liberatorio, in seguito all’invasione degli Ottomani nei loro territori. Da qui anche il mito dell’eroe nazionale albanese Giorgio Kastriota Skanderbeg, che riuscì nell’impresa di contrastare per piu di venti anni l’imponente esercito ottomano alla conquista della regione. Le sue gesta ebbero vasto eco nel mondo occidentale, e gli valsero, oltre a feudi in Puglia, l’appellativo di ‘Skanderbeg Atleta di Cristo, difensore impavido della civiltà occidentale’, un omaggio simbolico al condottiero da parte del papato dell’epoca. Ritornando ad oggi, l’importanza e la peculiarità di queste comunità risiedono nel fatto che esse mantengono ancora in vita la lingua originaria, (chiamata arbërishit) nonostante secoli di storia e di integrazione, tradizioni, danze (celebre e’ il ballo tondo, la cosiddetta ‘valla’/ pron. vaga) canti, (che hanno una matrice chiara e inconfondibile di pura arbëreshità), nonché l’abito cerimoniale, in particolare quello femminile, chiamato ‘coha’ (pron. zoga). Nel corso del tempo qualcosa della matrice originaria e’ irrimediabilmente andata smarrita, per inevitabili processi storici di assimilazione con le vicine comunità, e per quel che riguarda il rito religioso anche per le repressioni subite da parte della curia cattolica. Infatti le popolazioni originarie stabilitesi nel crotonese, professavano il culto greco bizantino, che con la forza venne proibito e represso (siamo attorno la fine del 1600 e gli inizi del 1700). In altri luoghi invece esso rimane ancora in essere, tant’é che nel 1919 é stata costituita l’Eparchia di Lungro (Cs) con il riconoscimento di un Vescovo Arbëresh, (completano l’ordinamento religioso l’Eparchia di Piana degli Albanesi in Sicilia e il Monastero Esarchico di Grottaferrata in provincia di Roma). Dopo secoli di scarsi stimoli culturali, le comunità italo/albanesi balzarono alle cronache per l’impegno risorgimentale fornito dalle popolazioni e da numerosi patrioti (Mauro, Damis, Conforti su tutti) che, ricchi di valori e di fervore, sostennero l’impresa garibaldina. L’esperienza rivoluzionaria italiana fu da pungolo per gli studi italo/albanesi, infatti una generazione di intellettuali, sulla scia degli entusiasmi risorgimentali, si senti in dovere di occuparsi specificatamente delle questioni storiche, linguistiche e politiche del mondo albanese. A livello affettivo e di tensione emotiva il popolo albanese d’Italia si sentiva sempre legato alla madre patria, ma ora diventava centrale un impegno per l’affermazione della cultura albanese, con una sempre più crescente rivendicazione di una Albania libera e indipendente dal lungo dominio turco, risalente al 1400. Fu così che personalità come Girolamo De Rada di Macchia Albanese (Cs), poeta, letterato e scrittore, il Cav. Avv. Anselmo Lorecchio di Pallagorio (Kr), (anche il fratello Luigi Lorecchio, celebre per essere stato il primo a tradurre numerosi canti della Divina Commedia in albanese) divennero ben presto fautori dell’indipendenza dell’Albania, sostenendone la causa con numerose missive e pubblicazioni.
Tra gli organi di stampa più attivi da segnalare la rivista ‘La Nazione Albanese’, pubblicata da Pallagorio ad opera di Anselmo Lorecchio, ogni quindici giorni per ben 27 anni dal 1897 al 1924. la rivista divenne, ben presto, il punto di riferimento per politici, storici, poeti e scrittori che volevano accedere alle informazioni sul mondo albanese. Tutto il fervore degli arbëresh non fu vano, infatti i frutti sperati arrivarono nel 1912 con la proclamazione dell’indipendenza dell’Albania, di cui si celebra quest’anno il centenario. I giusti onori vennero dati anche al pallagorese Anselmo Lorecchio da parte del neo insediato parlamento, come pure a Girolamo De Rada, riconosciuto ormai come vate della poesia e della letteratura albanese. La storia però fu matrigna severa con il popolo delle aquile e, se e’ vero che tanto impegno venne profuso, una nuova agonia nasceva alla fine della seconda guerra mondiale con l’avvento della dittatura comunista che conobbe in Albania una delle sue facce più estreme, isolandola di fatto sia dal mondo occidentale che da quello sovietico e facendo diventare la nazione una delle più povere del mondo. Anche questo ha contribuito negli anni a creare un disinteresse verso la cultura e gli studi italo/albanesi; un senso di rifiuto e di vergogna si diffondeva tra le comunità arbëresh generando un periodo di corsa alla omologazione italiana; questo processo deleterio di associazione tra valori culturali di un popolo con quelli economici e politici mise a rischio estinzione un ricco patrimonio che era rimasto intatto per secoli. Solo recentemente, per fortuna, si é sollevata una nuova e matura coscienza civica nei luoghi, nelle istituzioni e nelle genti, con un rinnovato interesse culturale e sociale stimolato fortemente dalle università (UNICAL su tutte), dagli operatori culturali e dagli amministratori più sensibili. E’ notizia di questo periodo, tra l’altro, l’imminente avvio dell’iter burocratico per il riconoscimento delle minoranze arbëresh come patrimonio universale dell’Unesco, un passaggio che potrebbe certificare definitivamente l’importanza delle comunità e proiettarle in circuiti piú ampi dai quali attingere nuove energie e nuove possibilità per la tutela, lo sviluppo e la crescita.
Molto interessante.