L’estrema difficoltà con la quale si riuscì ad identificare l’area su cui sorgeva il santuario dedicato ad Apollo Aleo a Cirò Marina è causata dalla mancanza di fonti specifiche riferibili al sito, né più chiare appaiono a tale riguardo alle notizie della tradizione letteraria concernenti l’ecista Filottete, eroe fondatore delle città di Macalla, Chone e Krimisa, situate tra i fiumi Nicà e Neto, e fondatore del tempio che conteneva l’arco e le frecce di Eracle e accanto al quale fece erigere il suo heroon.
LA BONIFICA E I RITROVAMENTI – Le prime indagini nell’area di Cirò Marina, mirate alla ricerca degli antichi centri di Krimisa e Chone, furono intraprese nel 1914-15 da Paolo Orsi che pensava di identificarli con Cirò Marina e Cirò. Tali indagini però non dettero alcun risultato per quanto concerneva la dislocazione del Santuario. Soltanto nel 1923, durante i lavori di bonifica della palude che si estendeva su Punta Alice, si rinvennero casualmente vestigia del tempio di Apollo Aleo. Gli scavi, effettuati da Paolo Orsi tra il 24 aprile ed il 18 marzo 1924 e pubblicati nel 1932, portarono alla luce un santuario che, grazie agli anathemata, al materiale della stipe votiva, ai frammenti di iscrizioni e soprattutto all’acrolito ivi rinvenuto, egli identificò con il tempio di Apollo Aleo. Questo tempio la cui vita, a suo dire, oscura nel VII e nel VI secolo a.C., fu più evidente dal V secolo e subì tutta una serie di riattamenti e risarcimenti, ebbe fama fino alle devastazioni di Pirro (Llvio, XXIII, 30, 6, XXVI, 3, 11), dopodiché cominciò il suo declino che lo vide saccheggiato e distrutto forse già verso la fine del III ed il II secolo a.C. Dopo l’indagine e gli studi interpretativi di P. Orsi, l’area del santuario non fu più indagata per lunghi anni, mentre si cominciava ad indagare il territorio circostante entro i confini dell’odierna Cirò Marina e Cirò, nel tentativo di identificare il sito dell’antica Krimisa, rintracciando una serie di insediamenti sparsi.
NUOVA ESPLORAZIONE – Finalmente nel 1977 D. Mertens, in seguito ad una lettura critica del testo di P. Orsi, condusse con H. von Hesberg una nuova esplorazione dell’area del tempio, con il sostegno della Soprintendenza Archeologica della Calabria. Egli, basandosi sugli elementi architettonici a sua disposizione, contrariamente alle deduzioni di Orsi, identifica due fasi costruttive, una tardoarcaica, risalente alla fine del VI secolo a.C., l’altra ellenistica, dei primi decenni del III secolo a.C. Complessivamente egli interpreta il santuario di Apollo come un punto di focalizzazione di interessi comuni tra Greci ed Indigeni. Negli anni più recenti il controllo di alcuni lavori agricoli e due campagne di scavo condotte nella zona compresa tra il lato ovest del tempio e il canalone di bonifica hanno permesso di confermare che l’area sacra presenta segni di frequentazione già nel VII secolo a.C. (frammenti di coppe a filetti, ceramiche corinzie, frammenti di anfore vinarie ioniche), anche se sarà monumentalizzata molto più tardi. La prima delle campagne di scavo fu condotta da J. de la Genière nel 1982, per incarico della Soprintendenza, la seconda a cura della Soprintendenza stessa nel 1985. Nel 1989 P. Guzzo, a proposito della storia dei Brettii e, più recentemente, (1992) M. Osanna, trattando delle chorai coloniali, hanno indagato sul sistema dei rapporti di scambio tra Greci ed Indigeni nell’entroterra del santuario, sulle colline alle spalle del promontorio di Punta Alice, ipotizzando una realtà esclusivamente indigena.
SAGGI DI SCAVO – La vita del santuario continuerà anche nei secoli successivi come confermano i saggi di scavo effettuati nel 1994 e nel 1996 dalla Soprintendenza Archeologica, che hanno messo in luce materiali che coprono un arco temporale compreso tra il V ed il III a.C.. Agli inizi del III secolo a.C. il rifacimento del tempio periptero, indagato da D. Mertens, è probabilmente collegato ad una più intensa ripresa del culto; secondo lo studioso tale riedificazione sembra sia avvenuta in modo organico e secondo un intenzionale tradizionalismo in un’ area che egli considera come punto nodale in una zona a prevalenza agricola e pastorale, costituita da tanti piccoli nuclei abitativi che facevano capo a questo centro cultuale di vetusta tradizione. L’intensificarsi delle ricerche sulla popolazione italica dei Bretti, dovuto anche allo stimolo esercitato dagli studi di P.G. Guzzo e altri, permette di mettere meglio a fuoco, oggi, il periodo di particolare vitalità e vivacità della società brettia, tra la fine del IV e il III secolo a.C., ben attestata nella zona da nuclei di tombe che presentano diverse dislocazioni, in prossimità di aree di pascolo, di colture e di strade. La distruzione del santuario è fatta risalire da P. Orsi all’epoca della II guerra punica, ma nell’area delle «case dei sacerdoti» sono stati trovati reperti tardo-repubblicani ed imperiali (ceramica, bolli figulini e frammenti di mosaici) che testimoniano una continuazione della vita del santuario oltre tale periodo. Nel 2015 partiranno invece i lavori di scavo, restauro e musealizzazione del santuario (leggi).