La presenza di Briganti nelle campagne cirotane oltre ad essere registrata dalla memoria storica degli anziani, che ancora oggi raccontano episodi di brigantaggio, è documentata dalla presenza di numerose grotte disseminate sul territorio, loro rifugio naturale, antichi insediamenti anche di monaci e Bizantini. Nella terra di Cirò i Briganti utilizzarono come rifugio molte grotte disseminate sul tutto il territorio collinare, che si trovavano lungo sentieri impervi e ben nascosti dalla vegetazione, di flora autoctona mediterranea, di solito in prossimità di ruscelli (Carafuni) e kenion impossibili da raggiungere. La presenza di acqua corrente, di selvaggina e di frutta, rappresentavano il loro fabbisogno, per insediare le grotte scavate nella ripida roccia arenaria, già rifugio naturale delle prime popolazioni indigene cirotane. Raccontano gli anziani di scorrerie di briganti alla ricerca di preziosi che poi nascondevano nei tronchi di querce cave. In proposito raccontano in almeno tre occasioni diverse dopo un incendio, di vedere oro fuso cadere da tre diverse querce, una in zona Croce Minute, una in zona Brigante e l’altra sul monte Campana, proprio a poca distanza dalle tre grotte di Fradduca. Il brigantaggio era espressione dell’esasperazione delle misere condizioni vitali della classe dei contadini e dei pastori che non avevano opzioni diverse: morire per fame o farsi giustizia con le proprie mani. Le condizioni economiche dei contadini calabresi intorno al 1861 in poi erano terribili. L’uomo della campagna era malamente remunerato, oppresso dalla fatica, maltrattato, roso dall’usura e dall’odio verso lo Stato. C’è differenza però tra briganti e brigantaggio: briganti quando il popolo non li aiuta, quando si ruba per vivere; il brigantaggio quando la causa del brigante è la causa del popolo, allorquando questo lo aiuta, gli assicura gli assalti, la ritirata, il furto e ne divide i guadagni. Già nel 13 sec. a. c. furono rinvenuti in zona Sant’Elia un ripostiglio di asce in bronzo e materiale dell’età del ferro, che dimostrano che Cirò era già abitata in epoca preistorica, a testimonianza della già esistenza di un nucleo indigeno di agricoltori che vivevano sparsi tra il Cozzo di Santo Stefano, il monte Sanguigno(Simafuru), Punta Vecchia(primo vero insediamento denominato Ypskron), e l’attuale Valle(a Vadda) ricca di querce secolari e di grotte, alcune delle quali oggi inglobate nelle abitazioni, utilizzate dalle prime popolazioni come stalle o come botteghe tra queste la fucina del fabbro. Molti altri nuclei invece preferivano rifugiarsi all’interno del territorio proprio nelle grotte, lontano dal pericolo che giungeva dal mare: Turchi e Saraceni. Nel territorio infatti, sono stati rinvenuti elementi che confermano l’insediamento di popolazioni nei periodi greci, romani oltre a tracce della presenza di vari insediamento rupestri. Proprio in quel periodo si registrò in Calabria una significativa immigrazione di etnie provenienti dalla Grecia che preferirono stabilirsi nell’entroterra per sfuggire agli attacchi arabi dal mare. Molte di queste popolazioni si stabilirono proprio qui(antica Chone odierna Cirò), specie sul Cozzo Santo Stefano. Non sono documentate lotte intestine tra il popolo dei Choni ospiti, e gli indigeni del posto, anzi fra i due ci furono vari scambi storici, culturali e soprattutto in agricoltura. Bensì molte famiglie di indigeni autoctoni preferivano abitare a nuclei sparsi nell’entroterra nelle grotte, pur sempre in contatto tra loro. La morfologia di questa località si contraddistingue per la presenza di diverse grotte scavate nella roccia e collegate da cunicoli, altre invece venivano popolate da monaci eremiti, le grotte scavate nella roccia come quelle della Serra del Lago, dell’Acqua della Pietra, della Campana, di Fradduca ecc. , venivano adibite a uso di abitazione a stalle o deposito di materiali, riparo irraggiungibile da parte degli invasori. Un territorio questo ricco e variegato da patrimonio dell’Unesco.