Il 30 ottobre 1949 nel fondo Fragalà, in agro di Melissa, piccolo e fino ad allora sconosciuto paesino della Calabria jonica, le forze dell’ordine aprivano il fuoco sui contadini occupanti le terre improduttive del barone Berlingieri. Risultato: tre morti e tredici feriti tra i cafoni colpevoli di sentire come una intollerabile provocazione quella concentrazione parassitaria di terreni nelle mani di pochi, a fronte di una marcata e generale indigenza verso la quale il potere politico oscillava tra l’indifferenza e la demagogia, realizzando le condizioni che avrebbero portato di lì a poco all’emigrazione di massa con conseguente impoverimento ulteriore del mezzogiorno. Facciamo un passo indietro: già nel secondo dopoguerra le campagne del mezzogiorno d’Italia presentavano una immagine di abbandono e miseria come poche. Pur essendo state risparmiate, a differenza di città e agglomerati urbani, dalla furia dei bombardamenti alleati, la guerra aveva portato via le braccia più vigorose. Fame e povertà, endemiche anche nelle zone con le maggiori potenzialità, si erano ulteriormente aggravate. Le riforme che l’oramai sconfitto regime aveva messo in campo anche nel settore agrario, lungi dall’iniziare ad realizzare gli effetti loro propri, non erano giunte a compimento. Instabilità politica, ritorno a casa dei reduci ed indigenza cronica formavano un mix sociale esplosivo. In questa situazione è naturale per le popolazioni alla fame rivolgersi verso i terreni incolti. E questo accade già nel 1946 anche a Melissa dove, sotto la guida dell’Associazione Combattenti e reduci, la gente si mobilita pacificamente e secondo quanto stabilito dai decreti del ministro democristiano Gullo, perviene all’occupazione del fondo “Culonuda”, pur senza trarne grande sollievo economico. Ma ancor prima, negli anni immediatamente successivi alla prima guerra mondiale, ed in particolare nel 1924, 1925, 1926, 1927, si assiste nei comuni di Casabona, Cirò, Melissa e Strongoli ad un efficace anche se graduale frazionamento dei latifondi a beneficio della piccola e media proprietà grazie all’assistenza dell’Opera Nazionale Combattenti (O.N.C.).
Cosa accade allora nel 1949? Perché, in un clima politico mutato che dovrebbe, teoricamente, favorire masse contadine e soggetti poveri, si arriva addirittura a far fuoco su uomini e donne che pure, alla vista dei militari schierati, gridano “Viva la Polizia!”? Accade che alcuni parlamentari calabresi si rivolgono al governo in sostegno delle pretese dei baroni, chiedendo l’intervento dello Stato a loro tutela contro le occupazioni fondiarie. Il ministro democristiano Scelba inviò la Celere, con le tragiche conseguenze che conosciamo. Qualcuno disse che la deputazione parlamentare calabrese della Sinistra, pur a conoscenza della determinazione repressiva governativa, nulla fece per evitare il peggio, favorendo anzi proteste ed occupazioni ad oltranza. Al di là di ipotesi ed illazioni, è pacifico che da subito i “fatti di Melissa” vengono assunti a paradigma della lotta contadina contro i “padroni” da parte della sinistra. La protesta corale dell’intellighenzia progressista è immediata: pittori come Ernesto Treccani si recano a Melissa per fissare su tela la bandiera rossa della rivoluzione contadina. I parlamentari di sinistra (Pietro Mancini e Gennaro Miceli, Francesco Spezzano, Silvio Messinetti, Gennaro Alicata, presenti a Melissa immediatamente dopo l’eccidio…) promettono alle Camere che quel sangue non sarà versato invano, la Calabria rinascerà, in responsabili saranno colpiti. In realtà il processo non venne mai celebrato. Il procuratore che avviò l’indagine si dimise quasi subito. I problemi della Calabria e dell’intero mezzogiorno conobbero un aggravamento che arriva a noi oggi.
L’apparato culturale e propagandistico progressista, ben presto egemone nella società italiana, già da allora mostrava grande efficienza se riuscì ad annettere alla propria parte politica quello che era un movimento popolare spontaneo e privo di colorazione, facendo passare sotto silenzio il fatto peraltro significativo, che l’unico caduto di Fragalà ad essere politicamente impegnato fosse Francesco Nigro, fondatore e segretario della locale sezione del Movimento Sociale Italiano, nonché reduce non collaborazionista dal Fascist criminal camp americano, la struttura in cui vennero detenuti i soldati italiani prigionieri di guerra che rifiutarono abiure e collaborazioni con i vincitori. Delle altre due vittime, Angelina Mauro era un’attivista dell’Azione cattolica e Giovanni Zito un ragazzo portatore di handicap.
Questa è la verità dei fatti che, sarà celebrato a Melissa e non solo, il 70° eccidio “Fragalà” 28 e 29 ottobre, due giorni per onorare la memoria. Verità della quale abbiamo già avuto modo di parlare approfonditamente nel novembre del 1997 in un convegno a Melissa (voluto dall’allora presidente del circolo di Alleanza Nazionale Francesco Amendola, che con l’occasione intitolò il circolo stesso a Francesco Nigro) del quale sarebbe oggi interessante recuperare gli atti (ricordo solo la ricostruzione storica effettuata da Pino Tosca, le testimonianze dei familiari delle vittime circa le promesse non mantenute, le blandizie rinnovate per decenni giocando su situazioni di bisogno, la gestione clientelare delle conquiste sociali ottenute da quelle lotte). E magari sarebbe anche bello se si desse seguito ad esempio, in un’ottica di restituzione all’intera comunità locale e nazionale di quelle lotte e quelle aspirazioni, agli impegni sempre presi e sempre disattesi di realizzare il Centro di ricerca e documentazione “Melissa” istituito con legge regionale del 21 marzo 1983.
Sarebbe poi straordinario se una tale opera di verità e rivisitazione storica venisse intrapresa magari proprio nel settantesimo anniversario di Fragalà. Ma non illudiamoci: basta dare uno sguardo ai partecipanti le commemorazioni previste in questo fine ottobre. Ottime persone sotto ogni punto di vista, per carità!, ma dall’appartenenza politica orientata, ancora oggi come ieri, a senso unico. Il segretario generale CGIL Landini ed il presidente Oliverio in primis. La memoria di Nigro, Zito e Mauro si inizierà ad onorare davvero quando la bandiera rossa dei dipinti verrà sostituita dal Tricolore. E sarà sempre tardi.
Non capisco una cosa,che vorrei spiegata dai soliti storici,che si inventano,cose che non esistono,come mai i sinistri si sono inventati e attribuiti,che quelli che sono stati uccisi dal loro compagno scelba,erano della sinistra,meno male che dicono e scrivano,che uno era fascista una democristiana,ed uno,non si conosce il colore politico,perche’ dicono e scrivono i loro compagni che non centrano con la bandiera rossa,della liberta’,ma da quando i comunisti,hanno concesso la liberta’ed in quale paese lo hanno fatto,non attribuitevi cio’ di quello che non vi appartiene,che non sia stata una bella cosa,ma la storia va raccontata,come’e’ successo veramente,e non come la raccontate e lo scrivete voi..