Qualche appunto su favolose isole che sembrano essere esistite al largo di Punta Alice o di Crotone. A ben guardare, quando apparve nel canale di Sicilia, tra Sciacca e Pantelleria, l’isola battezzata ‘Ferdinandea’, peraltro di brevissima esistenza (giugno 1831- gennaio 1832), il governo borbonico si affrettò a prenderne possesso, ovviamente, cosa che cercarono di fare anche la Francia e l’Inghilterra, provvedendo a piazzare bandiere e navi da guerra. Parliamo del XIX secolo, ma non solo. Voglio dire che, tanto per non smentirsi, gli stati nazionali cercarono subito di far sentire forte il loro peso, mirando alla proprietà di quell’isola, con il pensiero rivolto anche ad una eventuale riemersione della Ferdinandea. Le isole favolose di Ogigia vel Calypso e dei Dioscuri saranno esistite anche fuori dalle fantasie degli antichi abitanti della Grecia e della Magna Grecia, ma mi sembra un po’ strano che non vi siano attestazioni più ‘probanti’ che non quelle della Geografia di Strabone (64 a. C.- 24 d.C.) o delle carte di Mercatore (1512-1594) e di Pirro Ligorio (1513-1583, tra l’altro buon falsario, oltre che grande architetto…). Ecco cosa, quasi a titolo di curiosità, dice Vincenzo Cuoco (1770-1823) nel suo romanzo filosofico ‘Platone in Italia’:
«La punta estrema del promontorio Lacinio si eleva in altissimo monte, dalla parte del mare tagliato quasi a perpendicolo, da quella di terra di non facile accesso. Questo promontorio, il quale è una continuazione del monte Clibano, che si stende ampiamente al mezzogiorno di Crotone, forma la punta meridionale del seno Tarantino, che incomincia dal promontorio Iapigio, e la settentrionale del seno Scilletico, che finisce col promontorio di Zefirio. Crotone è alla falda settentrionale del Clibano, ventiquattro stadi lontana dal tempio. Ma alla fine di questo cammino tu ti trovi in una vastissima pianura, donde puoi scoprire con l’occhio il promontorio Iapigio e quello di Zefirio. Alla tua dritta è il piccolo promontorio di Cremissa, sul quale torreggia un tempio sacro ad Apollo Aleo, che tutti invocano primachè dall’ampio Ionio entrino pe’ dubbii guadi degli Acrocerauni a tentare i perigli di un mare più stretto o più tempestoso. Poco discosto sbocca nel mare il fiume Neeto, dove narrasi che le figlie di Laumedonte bruciassero un giorno le navi de’ Greci; ed alle sue sponde sta Clea, fondata dalle Amazzoni. Alla distanza di cinquanta, sessanta, ottanta stadi fan questi corona intorno al promontorio i tre piccoli scogli i quali, al pari di molte altre isolette, che circondano l’Italia, prendono il nome di Sirene, che li hanno una volta abitati. Gli abitanti del luogo attestano di uscir dal fragor delle onde, che si rompono in faccia ai medesimi, un suono or di lira, or di canto, e sempre amabile o che sia di gioia, o che sia di lamento. Più grande di questi scogli è la isoletta vicina, sacra ai Dioscuri; è più grande ancora la quinta, che chiamasi Ogigia e che rammenta Calipso alle anime tenere, ed alle anime forti e prudenti Ulisse».
Nell’Odissea di Omero, è l’isola dove Ulisse si trovò a sostare per sette anni dopo le lunghe avventure e pericoli corsi durante il suo ritorno dalla guerra di Troia. In questa isola viveva Calipso. Conclusioni: come si può notare, la geografia e la cartografia erano discipline estremamente complesse e difficili… gli errori, con tutta la buona volontà e l’impegno degli studiosi dell’epoca, non potevano sopperire a cotanta mancanza di mezzi di indagine: nell’immagine, ad esempio, il Promontorio o Capo dell’Alice è segnato anche come ‘Lacinium’ (magari questo potrebbe interessare a Francesco Vizza studioso di Giano Lacinio)… la confusione è tanta, proprio quanto la grandezza dei miti, la cui validità va ben oltre il dato transeunte di una identificazione spaziale o temporale… Teniamoceli così, come postulati, teoremi, o anche ‘fattareddi ‘e l’antichi’, va bene lo stesso…
Cataldo Antonio Amoruso da Piacenza
Mi piace pensare che Ulisse era “prigioniero” di Calipso su questa meravigliosa isola a largo di Punta Alice…che bevevano vino (l’antico Cirò Doc)…mi piace che ci fate viaggiare con queste “storie”….grazie
Grazie Cataldo per il tuo preziosissimo suggerimento e per quanto hai pubblicato. Chiamato in causa rispondo. Di sicuro il promontorio o Capo Alice era noto nel XVI secolo col nome di Lacinium. Scrive Giano Casopero a nel suo Epistolae libri Duo, Bernardinus de Vitalibus, Venetiis, 1535, f. 34 bis: ”..la nostra città cominciò ad ingrandirsi allorquando gl’infedeli presero ad abitare là presso le falde del promontorio, su cui era edificato il Tempio, celebratissimo allora in tutto il mondo, sacro alla Dea del Parto, Giunone Lacinia…”. E ancora, Casopero (nell’ottobre 1533) scrive a Cosmo Basamo descrivendo il suo viaggio da Cirò a Padova : ” Parlerò un poco, o Cosmo, della mia navigazione, decisamente più lunga di quanto avrei sperato. Come prima cosa sono salpato dal molo di Crotone, e passando davanti al nostro agro Lacinio il giorno successivo sono stato portato a Taranto, dopo essere stato comunque sballottato da un mare bello agitato…..”. La mia ipotesi sullo pseudonimo adottato dall’alchimista cirotano si basa, appunto, sul fatto che nel XVI secolo il promontorio Lacinium corrispondeva a Capo Alice come da cartina di Pirro Ligorio che tu hai pubblicato (non serve andare in Spagna per trovarla e nemmeno nell’Archivio Vaticano, tu lo sai bene) e di Egnazio Danti (metà del ‘500). Quando Casopero nella sua lettera parla di “nostro agro Lacinio” non si riferisce alla zona che circonda Capo delle Colonne, ma ai dintorni di Punta Alice. Egli, infatti, si imbarca da Crotone e naviga verso Nord, non verso Sud. Il fatto poi che l’achimista Lacinio fosse di Cirò e non di Crotone, come alcuni erroneamente sostenevano, non lo si evince dal nome del promontorio ma da altri documenti in mio possesso. Temo, comunque, che quanto tu vai pubblicando per la gioia dell’intelletto di pochi, finisca nel solito calderone che mescola importantissimi indizi storici a delle immani stupidate. Vedrai, insieme ad Ulisse compariranno d’incanto le immancabili sirene. In ogni caso, ti consiglio “ se di certo reputasti fosse d’uopo scrivere, per non condurre una vita simile a quella de’ morti, il che senza dubbio è il pensiero dell’uomo nobile e magnanimo, allora nel pubblicare non v’è nulla da temer dagl’invidiosi, dico, perché non avvenga che i tuoi cari ti vedan divenuto muto, come accadde (così si dice), al lupo ed al villano”.
Francesco Vizza
Caro Francesco,
leggerti è un piacere e conoscerti personalmente è gratificante. Ti ringrazio per le tue parole massimamente dotte e, in pari misura, illuminanti.
Mi allieta sapere che le cose che scrivo possano trovare, presso di e altri amici lettori, una accoglienza favorevole. Colgo l’occasione per ribadire che le mie sono ricerche più o meno come quelle scolastiche di un tempo, senza pretese, e offerte spassionatamente. Tu lo hai capito e mi hai spronato a farlo, da quando ci conosciamo.
Grazie, di nuovo, a te e alla redazione del Cirotano.
Cataldo.