In merito agli anatemi contro l’istituzione del registro delle unioni civili istituiti in alcuni Comuni Calabresi, lanciati, nei giorni scorsi, da un noto avvocato Crotonese, dai connotati ultraclericali, che, con frequenti esternazioni per mezzo della stampa, si qualifica e si differenzia sempre più per posizioni intransigenti ed estremiste, corre l’obbligo di rimarcare che le unioni civili, meglio conosciute come “coppie di fatto”, sebbene siano forme di convivenza non riconosciute giuridicamente come lo è invece il matrimonio, sono comunque oggetto di attenzione da parte degli organi legislativi, in virtù anche dell’evoluzione della famiglia verso altre forme di convivenza, diverse da quella tradizionale, le quali fanno parte della composizione sociale del nostro Paese. Non è una novità assoluta che ben noti politicanti, miopi ed incapaci di legiferare provvedimenti giusti nell’interesse della famiglia ed in considerazione della sua stessa evoluzione in diverse forme di convivenza coniugale (famiglia non solo etero ma anche omosessuale), risiedono da oltre un trentennio nel Parlamento Italiano, con l’unico e ben individuato obbiettivo di ostacolare eventuali atti innovativi finalizzati alla crescita civile e democratica del Paese. In particolare, la loro condotta e la loro azione politica sono sempre e più finalizzate a contrastare qualsiasi provvedimento in discussione ( Il “Registro dei Diritti civili”, il “Divorzio breve”, “l’Affido condiviso”, il “Registro Biologico” etc.), che abbia come oggetto il riconoscimento dei diritti umani e la tutela e l’estensione dei diritti civili, quest’ultimi da sempre calpestati con argomentazioni inficianti e fuorvianti da parte dei vertici della Chiesa che tende a sconfinare proprio in un terreno non suo e ad imporre il suo pensiero, in nome di una sua presunta primazia, soprattutto in merito al concetto di famiglia con dottrine e con postulati superati, che non tengono conto della trasformazione della società e che, in effetti, appartengono ad un passato medievale, da dimenticare, per il bene della stessa chiesa, quando persone dotte venivano inquisite per “eresia” ed, in quanto tale, arse vive, perché sostenevano teorie considerate contrarie all’ortodossia cattolica. Cosa improbabile nel terzo millennio, dove l’evoluzione culturale e la coscienza democratica del Paese, essendo notevolmente maturata, non accettano “sermoni” sconsiderati da chicchessia. Il cittadino comune, oggi più che mai, va alla ricerca di una giustizia equa che tuteli la famiglia, da qualunque forma essa derivi (coppia di fatto, matrimonio civile, matrimonio religioso). Il Parlamento Europeo ha avuto il merito di aprire la discussione politica anche in un paese, arretrato dal punto di vista dei diritti civili, come l’Italia. In tale materia, il Parlamento italiano ha sempre scelto di non scegliere. L’Italia, insieme a Grecia Albania, Romania, Polonia, è uno dei pochi stati europei a non essersi dotato di norme specifiche. In Francia ci sono i pacs, contratti tra due persone maggiorenni; in Germania sono in vigore norme che regolano la convivenza tra omosessuali, in molte parti analoghe alla legge per la disciplina del matrimonio. Lo stesso avviene nel Regno Unito, con il “Civil Partnership Act”, approvato nel 2005. La Spagna, con Zapatero, nel 2005 ha aperto al matrimonio tra gay. Quindi, il Parlamento Italiano non può continuare a disattendere la risoluzione emessa dal Parlamento europeo, datata 13 marzo 2012, che riconosce parità del diritto tra “Uomini e Donne”, obbligando, altresì, gli Stati membri a recepire il predetto orientamento, entro un tempo massimo di anni 8. Trascorso la termine, in mancanza di recepimento di tale risoluzione, si andrà ad incorrere nella sanzione e condanna penale per omofobia. A seguito di questa risoluzione, con la quale si afferma che gli Stati membri non devono dare al concetto di famiglia “definizioni restrittive” allo scopo di negare protezione alle coppie omosessuali, il problema del riconoscimento delle coppie omosessuali si è posto anche in Italia. Infatti, con sentenza n. 4184, la Corte di Cassazione afferma che, in alcune specifiche situazioni, “le coppie omosessuali hanno il pieno diritto di rivolgersi al giudice per far valere il diritto ad un trattamento omogeneo a quello assicurato dalla legge alla coppia coniugata”, ne sancisce il “diritto alla vita familiare” ed a “vivere liberamente una condizione di coppia” e precisa che “la differenza di sesso non è più da considerare quale elemento naturalistico del matrimonio”. Questa sentenza segna un passo storico e fondamentale per l’avanzamento dei diritti civili in Italia. Nelle motivazioni, è la stessa Corte di Cassazione a chiarire, in considerazione che, secondo la legislazione italiana, i componenti della coppia omosessuale non possono far valere né il diritto a contrarre matrimonio né il diritto alla trascrizione del matrimonio contratto all’estero, che “l’intrascrivibilità” delle unioni omosessuali dipende non più dalla loro “inesistenza” e neppure dalla loro “invalidità” ma dalla loro “inidoneità” a produrre, quali atti di matrimonio appunto, qualsiasi effetto giuridico nell’ordinamento italiano”. Di conseguenza, la politica è con le spalle al muro, se è la stessa legge a riconoscere l’esistenza giuridica delle “coppie di fatto”.
Oggi, e più che mai, è chiaro quanto sia grosso il buco legislativo in materia nel nostro paese e quanto sia necessario colmarlo con un’apposita normativa. La Corte Costituzionale, con precedente sentenza n. 138/2010, aveva riconosciuto che le coppie omosessuali devono comunque vedere soddisfatta l’aspirazione all’accesso a determinati diritti. Difatti, nella suddetta sentenza viene espressamente affermato che “per formazione sociale deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. In tale nozione è da annoverare anche l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri”. La Corte di Cassazione, con sentenza 22 marzo 2012 n°4551, ha definito che ogni essere umano ha diritto a una “second life”, anche dopo il fallimento del primo matrimonio ed ha ritenuto “irrilevante l’identità di sesso” per la “qualificazione del rapporto di coppia” di tipo matrimoniale e questo indica, tra l’altro, una “perdita di valore” dell’essenza del matrimonio in quanto tale. La tutela ed il riconoscimento giuridico alla “famiglia di fatto” non toglierebbe dignità alla famiglia fondata sul matrimonio, ma riempirebbe un vuoto legislativo e di tutela dinnanzi ad un fenomeno sempre in maggior crescita all’interno del nostro Paese. Il riconoscimento giuridico delle “coppie di fatto” e dei matrimoni gay, trattandosi di un diritto sacrosanto, non può e non deve essere oggetto di trattativa: bisogna soltanto impegnarsi per ottenerlo. La questione deve essere risolta e deve portare ad una soluzione dal punto di vista normativo, chiamando alla propria responsabilità chi amministra nell’interesse della collettività, e non può e non deve essere oggetto di veto o merce di scambio fra le varie forze politiche durante l’iter legislativo in quanto la società italiana è ormai pronta a riconoscere le “coppie di fatto” e, nel contempo, i diritti ed i doveri a chi vuole dare vita ad un’unione, basata sulla convivenza, che non si chiami matrimonio. L’istituzione del registro delle unioni civili presso i comuni è vero che è un atto prettamente simbolico ed ideologico ma assume rilevanza in quanto, riconoscendo una forma di convivenza non convenzionale, è l’applicazione del principio di uguaglianza, sancita dalla Costituzione. Da qui, l’imput per il nuovo Governo perché affronti la questione delle “coppie di fatto” e produca una legislazione che regoli un tema molto sentito nel Paese. 3 Nel nostro Paese, troppo spesso ci sono stati e continuano ad esserci invasioni di campo ed ingerenze della Chiesa, mediante la Conferenza Episcopale, in materia di diritti civili. È, quella della Chiesa, un’ombra pesante che vuole sopprimere il processo di emancipazione e l’estensione dei diritti civili e ciò, pertanto, rende necessaria la difesa della laicità dello Stato. Tanto più è fragile un senso di comunità civile, di società laica, di libertà di orientamento nella sfera sessuale, di pluralismo dei convincimenti etici, tanto più la Chiesa tende ad orientare e condizionare le coscienze in nome della famiglia come “sacralità cristiana”, mediante la discriminazione di altre forme di convivenza, basate e regolate da preferenze sessuali e da comportamenti privati nel regime del rapporto di coppia diversi da quelli che caratterizzano le unioni affettive tradizionali. È sulle cause del tracollo del matrimonio che dovrebbe interrogarsi il fronte cattolico, se si pensa che, da secoli, il matrimonio in Italia è un’istituzione sacra e indissolubile. Eppure, dei 500.000 bambini che ogni anno nascono nel nostro Paese, 100.000 sono figli di “coppie di fatto”, statisticamente più prolifiche di quelle sposate. Altro dato importante è che i matrimoni religiosi sono diminuiti nel loro complesso mentre registra l’aumento di quelli civili: 85.771 nel 2009. A Roma, per esempio, gli sposi preferiscono la celebrazione nel Campidoglio anziché nella Parrocchia (il 51%). La città in cui ci si sposa di più in municipio è Bolzano (60,3% nel 2010) a cui fa da contraltare Potenza (4,5%). Da rabbrividire, pertanto, è la scarsa politica sociale per le giovani coppie, una sorta di legittimazione morale (non ancora giuridica) di altre forme di famiglia che gli italiani non rinnegano più. L’associazione “Marco Polo” di Crotone, sulla scorta delle predette disposizioni, non può esimersi dal richiamare l’attenzione delle forze politiche di orientamento progressista che, preso atto del deliberato della Suprema Corte, nell’attesa dei provvedimenti governativi, devono attivarsi, in tempi alquanto brevi, per il riconoscimento giuridico delle unioni di fatto e per la costituzione del registro dei diritti civili.
Rosario Villirillo
Presidente associazione “Marco Polo”