di Franco Vallone. È il terzo contributo della collana Temi di Attualità dei Quaderni adhoc, si intitola “Unità d’Italia e vicende provinciali – la diocesi di Mileto e il vescovo Filippo Mincione” ed è stato scritto da don Filippo Ramondino, direttore dell’Archivio Storico Diocesano di Mileto. Cinquantaquattro pagine che raccontano una storia particolare di provincia, in un contesto geografico ben definito, una delle mille storie che s’inserisce profondamente e s’intreccia con la grande storia nazionale. Immagini di grandi personaggi di quel tempo, il papa, il generale Garibaldi, il conte di Cavour, i reali, che con il loro muoversi hanno scritto le pagine della storia ed immagini anonime, di tanti sconosciuti che, silenti, hanno scritto la stessa storia, gli stessi luoghi, lo stesso tempo. Tanti ritratti, icone di uomini, e tanti eventi che sono stati costruiti giorno per giorno, momenti di presente di allora che si sono sfiorati con la realtà provinciale, con il nostro territorio, con il vescovo di Mileto, con tanti altri oggi anonimi personaggi del tempo. Ramondino li ha voluto conoscere, rivedere e rincontrare all’interno della grande lettura della memoria nazionale dei 150 anni dell’Unità d’Italia, che più di “unificazione” richiama, soprattutto oggi, l’impegno sempre permanente di “unità”. In questo contesto Ramondino racconta del vescovo di Mileto e della sua vasta diocesi alla metà del XIX secolo, delle reazioni sociologiche e teologiche dei vescovi al nuovo regime politico, della “tempesta degli aquiloni politici”, dei mesi cruciali del 1860 a Mileto, e di monsignor Mincione vescovo “reazionario” per il nuovo governo. È questo il fascino della ricerca documentaristica e d’archivio, rispolverare storie, recuperare, da documenti antichi, la memoria, la testimonianza di uomini e cose, i fatti lontani, per riordinare e assemblare, per tracciare e riscrivere una nuova storia arricchita dai giorni sperduti nell’oblio.
È una memoria, quella che emerge in questa ricerca, di “conflitti” tra Stato e Chiesa, tra Nord e Sud, ma non di “sconfitti”. “Questa memoria recuperata – scrive lo stesso don Ramondino – ci conferma che l’unità politica d’Italia è da secoli già anticipata dalla unità di religione cattolica e di cultura”. Quel tempo per molti sembrava la fine del mondo, ma, “nonostante le comprensibili deprecazioni di fronte alla volontà di ridurre il ruolo della Chiesa, questa fine del mondo diventa la fine di un mondo, non la fine del Cattolicesimo nel Regno d’Italia”. E’ quanto ribadisce l’autore, riprendendo il pensiero di autorevoli storici italiani.La Chiesa, per sua natura, è una, prima della unità della nazione. Momenti difficili, ma passato il momento difficile, le associazioni religiose si riorganizzarono, sfruttarono tutte le possibilità offerte dalla nuova normativa del Regno, individuarono inediti campi d’azione come la marginalità sociale, gli asili, la scuola, i giovani, gli orfani, la stampa, le missioni nei continenti nuovi, crearono figure nuove e prima inesistenti come quella della suora. La legislazione antiecclesiastica aveva mirato fin dall’inizio a provocare la riforma in senso liberale della Chiesa. E invece accadde che la Chiesa si riformò sì, profondamente, ma in direzione esattamente opposta: rinserrandosi attorno al papato e centralizzando, cioè “romanizzando”, tutta la propria struttura. Una trasformazione del cattolicesimo esattamente opposta a quella desiderata dalle classi dirigenti piemontesi e italiane.