Ormai mancano pochissimi giorni al fatidico 23 novembre, giorno delle lezioni per il rinnovo del consiglio regionale. Chiuderà la giostra infinita dei bla bla, delle promesse indecenti, dei proclami di umanità. Finirà una campagna elettorale che sembra sia stata attraversata in sordina, ma niente affatto. E una riflessione è necessaria. Forse son pochi a saperlo ma già nel Medioevo la politica e l’agonismo elettorale si esprimevano in maniera alquanto esagitata e tutti si sbracciavano, figuriamoci in quel contesto, a rivendicare autenticità e fedeltà ai valori cristiani dai pulpiti delle piazze come oggi dagli studi televisivi e dai palchi di teatro. Già allora vi era chi, per fortuna, volgeva tutta la sua attività educativa ed apostolica al servizio dell’umile gente e soprattutto all’evangelizzazione della politica , o meglio ad educare i politici del tempo. Sto dicendo di Santa Caterina da Siena (1347 – 1380) la cui opera rimane un valore di estrema attualità per coloro che sono già impegnati o si candidano all’impegno dell’amministrazione della cosa pubblica. La Santa, Dottore della Chiesa, Patrona d’Italia e d’Europa, ha vissuto il suo breve arco di vita in una instancabile opera di pacificazione tra le varie città italiane e gli stati europei; continua ed essere un esempio e un richiamo per tanti che lottano contro i pregiudizi e la violenza; lottò ed ottenne la riforma e l’unità della Chiesa fino a riportare a Roma la sede papale resasi vacante a seguito della “cattività” di Avignone. Scrive P. Giovanni Calcara dell’Ordine dei Predicatori che “è significativo considerare che Caterina da Siena è una mistica, la cui forza interiore riesce a darle una instancabile attività apostolica, che ha influito in maniera condizionante nella sua epoca storica. Questo per ricordarci, come da più parti viene sottolineato, di come sia necessario fondare il sociale e il politico, non solo sulla Dottrina Sociale della Chiesa, ma sulla spiritualizzazione e l’interiorizzazione della vita personale di chi vuole porsi al servizio del Bene Comune. È la conversione del cuore la vera base, su cui innestare l’agire illuminato dalla morale, perché tutto sia posto al servizio dell’uomo e della sua crescita integrale”. Su queste basi, scriveva Mons. Antonio Ciliberti, già Arcivescovo di Catanzaro – Squillace, si “dovrebbero costituire le motivazioni di fondo che giustificano la scelta di candidarsi e ancor più i fini che dovrebbero animare ogni agire politico. Il primo principio di cui deve avere contezza chi desidera fare politica è che la persona umana è il fine e il fondamento di tutta la politica. Infatti, la dimensione umana scaturisce dalla natura sociale della persona, per la quale la vita sociale è una dimensione essenziale ed inalienabile”. Insomma, non è pensabile che, in questo marasma di crisi di valori, siano sufficienti dei piccoli aggiustamenti di qua o di là per recuperare anni ed anni di disfattismo ed impoverimento non solo materiale ma soprattutto morale ed etico.
Chissà se basteranno alcuni consigli, “massime politiche”, che la Santa senese offre, ieri come oggi, a chi ne ha tanto bisogno nell’orientamento dell’impegno sociale? Sono “espressioni” sicuramente confortate dallo Spirito Santo visto che Caterina è stata proclamata Dottore della Chiesa e quindi tutta la sua parola non è pensiero politico nel senso ideologico, piuttosto, come il Vangelo, è parola di verità. Sono “massime politiche” tratte dalle sue Lettere e ci soffermeremo insieme su alcune di esse. La comunità, la “città”, non è affatto cosa privata, di chi l’amministra, essa è “città prestata”, o, come diceva il compianto Arcivescovo Mons. Giuseppe Agostino, “città di tutti, tutti per la città”. Perché, scrive Caterina (in Lettere 123), “colui che signoreggia sé, la possederà con timore santo, con amore ordinato e non disordinato; come prestata e non come cosa sua…altro rimedio non hanno gli uomini del mondo a volere conservare lo stato spirituale e temporale, se non di vivere virtuosamente…”. L’uomo e nella fattispecie il politico deve possedere un “fondamento” tale da aiutarlo a sapersi orientare nella quotidianità, per cui “pensa che sempre a cercare il fondamento di dura maggiore fatica: fatto il fondamento, agevolmente si fa l’edificio….Ora tale è fatto solo nella carità di Dio e nel prossimo: tutti gli altri esercizi sono strumenti e edifizi posti sopra a questo fondamento”. Ma, anche così, il “fondamento” non potrà essere durevole se non lo si coltiva, lo si restaura e lo si rafforza ogni giorno, tutta la vita. Insomma il politico sia educato al rispetto del prossimo, della cosa pubblica, del bene comune, sempre e non si lasci prendere dalle tentazioni, altrimenti che “fondamento” sarà il suo. E per essere un “fondamento” radicato ed ordinato, non si lasci tentare dall’ “amor proprio” perché, ci ammonisce Caterina (in Lettere 7), “se l’animo nostro non è spogliato di ogni amore proprio e piacere di sé al mondo, non può mai pervenire al vero e perfetto legame di carità. Infatti l’uno è intralcio dell’altro: e tanto è contrario, che l’amore proprio ti separa da Dio e dal prossimo; e quello ti unisce: questo ti dà morte e quello vita, quello tenebre e quello lume; questo guerra e quello pace; questo ti stringe il cuore, che non vi trova più posto né tu né il tuo prossimo; e la divina carità lo dilata, ricevendo in sé amici e ogni creatura che ha in sé ragione”. Per Mons. Ciliberti “quanti desiderano essere amministratori della cosa pubblica devono operare nella più limpida trasparenza, servendo la politica e non servendosi della politica”. E non basta. Per Caterina “solo chi è adulto e non fanciullo, solo chi è sveglio e non addormentato” può fare il politico. Insomma deve possedere “virilità” perché questa è caratteristica non solo del maschio e deriva da “vir”,”virtus”. Virtù è “coraggio” che induce il politico ad impegnarsi per la verità e per il bene: il coraggio che è il contrario del “timore servile” che porta diritto diritto al “sonno della negligenza”. Specifica meglio la Santa (in Lettere 123) quando sostiene che “il timore servile impedisce e avvilisce il cuore e non lascia vivere né adoperare come a uomo ragionevole, ma come animale senza veruna ragione”. Al postutto, faccio mio il commento di P. Calcara per il quale “ne viene fuori un vero identikit dell’uomo che dopo aver fatto sintesi della vita personale con quella pubblica sarà, solo allora, in grado di poter vivere la politica, come affermava Paolo VI ‘come la più alta forma di carità cristiana’”.