Arriva il nuovo libro di Cataldo Amoruso, scrittore, commediografo e storico di Cirò Marina. Il libro dal titolo suggestivo, “C’era una volta il Night” (Ensemble Editore), narra un po’ la sua giovinezza, una sorta di autobiografia, ma a lui non piace definirlo una storia della sua vita. L’autore cirotano ha scritto 20 romanzi e un libro di poesie “Il viandante e la luna”. Il nuovo romanzo, il ventunesimo a giorni sarà nelle librerie, e verrà presentato il 2 gennaio 2015, alle ore 17:00 a Palazzo Porti di Cirò Marina (KR). Seguirà più che una sorta d’intervista un dialogo fra vecchi amici. Cataldo è sempre il solito, un po’ schivo di esporsi in pubblico, forse per la sua antica timidezza.
Cataldo ricordi quando suonavi alla Rupe Tarpea a Roma?
Sì, ho tanti ricordi – All’epoca suonavo in un gruppo con un bravo pianista spagnolo Santiago Miguel Deparos, si cantavano le canzoni di Fred Bongusto, Frida, Doce Doce e quelle di Bruno Martino, “E la chiamano Estate”, “Cosa hai trovato in lui”, si ballava al ritmo di musiche Sud Americane. Ricordo che una sera mi chiamò un signore che era seduto vicino a me aveva in mano foglietti di carta ed una matita, mi disse: “per favore puoi abbassare la tua chitarra? E ti prego puoi sonarmi Verde Luna?” Risposi, “con molto piacere”. Max, il cantante del gruppo, col suo strascicato dialetto romanesco, mi disse: “aoh! Lo sai chi è quer signore che tutte le sere viene a guardare lo spogliarello?” Risposi, “non lo conosco”, “a Catà… quell’omo è Giorgio De Chirico er più grande pittore metafisico italiano, ammazza aoh!”. All’Openghet, un night di lusso, una notte suonammo per lo Scià di Persia. Dal ’60 al ’65 ho suonato in quasi tutti i night club di Roma: al Pipistrello, al Capriccio, all’84, alle Grotte del Piccione, alle Pleiadi, alla già citata Rupe tarpea, alla Cabala, al Samovar, al Kit Kat, al Belvedere delle Rose, al Brigadoon dove suonava anche Gigi Proietti. Ecc.
Ma come erano i Night club degli anni 60?
Erano locali a volte angusti come struttura, c’era sempre una bolla di fumo, perché si suonava sino alle quattro del mattino, però un certo fascino, in ogni caso non circolava droga, i frequentatori erano persone per bene, si sedevano, consumavano, ballavano e bevevano whisky e champagne, bastavano due bottiglie per far l’incasso della serata, ricordo che i proprietari dei locali si rivolgevano agli orchestrali e dicevano: “A ragà…me raccomanno – vojio sentì er botto, fate sartare li tappi delle bottie e non suonate musica jezze”, ovviamente più tappi di bottiglie di Dom Pèrignon saltavano e più guadagnavano. Molto gradito era il Floor Show con spogliarello finale dove spesso si esibivano artisti internazionali fra i quali molti francesi. I frequentatori di Night erano molto confidenziali con noi orchestrali, si creava un’amichevole empatia. Convenivano molti commendatori, piccoli industriali, imprenditori, con la voglia di ballare e divertirsi con le entreneuse (ragazze night). A volte entravano artisti come Anna Magnani e Renato Rascel, Massimo Serato, Renato Salvatori, Leopoldo Trieste, Maurizio Arena, Saro Urzì, Sergio Endrigo, Pietro Germi, Franco Silva, una volta venne anche Flaiano, tanto per fare alcuni nomi.
Perché non scrivi un libro su quell’epoca?
Già fatto, ho scritto una sorta di Amarcord sul Night che s’intitola appunto. “C’era una volta il Night” dove racconto i miei cinque anni di vita in questi locali, è un libro che sta per uscire, con molti aneddoti divertenti e con quell’Italia degli anni 60, gli anni più belli per la mia generazione, poiché si usciva dall’incubo della miseria che aveva lasciato la sciagurata e tragica guerra del 40 e si andava verso il futuro radioso del boom economico dove almeno 10 milioni di italiani andavano in ferie per un mese, compravano la 600 e la 500. Un’Italia spensierata, allegra allagata da bellissime canzoni.
So che nel 1966 hai fondato i Ciros un gruppo che ottenne molto successo, ne vuoi parlare?
Sì, i fondatori, per essere precisi, sono stati i due Nicodemo Malena poi subentrammo io, Sasà Molinari e successivamente Cataldo De Bartolo, Gino Colicchio, Rino Noce, Peppino Malena, però dei Ciros ne parleremo la prossima volta.
Dopo l’avventura dei Ciros, io ero a Roma, e ho saputo che avevi incominciato a scrivere, conoscevo questa tua passione per i romanzi che ti aveva inculcato tua nonna, così da lettore sei diventato uno scrittore, quali sono i romanzi che ami di più?
“Cecè il Picciotto”, “Il conte di Melissa” con tre tirature e dal quale è stato tratto il film
Quali sono gli altri libri che per te hanno incontrato il gusto del pubblico?
“Filottete”, “Il Mistero di Giulia Capellieri”, “Il Diavolo sotto il Gelso”, “Il mio amico Mussolini” mentre “La Ragazza di Porto Venere” è un libro molto amato, piacque tanto al regista Mario Monicelli che mi telefonò due volte e poi andai a trovarlo a casa. A Luigi Comencini regista di “Pane Amore e fantasia”, “Pinocchio”, al Produttore Luigi Rovere che produsse “Il Cammino della Speranza” e tanti altri film, a Pupi Avati, ai critici come Antonio Piromalli, Gianni Rotondi, Peppino Selvaggi, Beppe Guerrisi. Un altro libro è a “Patti con la mafia” che è entrato a livello nazionale nei libri che fanno parte della storia della mafia.