Oltre Napoli, il buio, la disperazione, la povertà più crudele, il sottosviluppo. Secoli di feudalesimo, invasioni e dominazioni straniere, carestie ed epidemie hanno devastato la bella e amara terra calabra. Così scrivevano i tanti osservatori stranieri che tentavano di attraversare il Pollino per inoltrarsi nelle nostre contrade con grandi pericoli per l’assoluta mancanza di vie di comunicazione sicure, giacchè l’unica strada che attraversava la regione era la consolare romana Popilia ma ormai ridotta a mulattiera, se non sentiero. Poi venne il terremoto del 7 febbraio 1783 che sconvolse la geomorfologia della regione e rase al suolo, tra le tante altre monumentalità, anche la rinascimentale Certosa di Serra San Bruno ed il maestoso Convento dei Domenicani della vicina Soriano Calabro. Oltre alla gran voglia di conoscere “de visu” la Magna Graecia e quel che ne restava, fu questo disastroso cataclisma naturale a richiamare da oltralpe, numerosi studiosi, cultori o semplici borghesi curiosi. Giovani aristocratici che per completare la loro formazione realizzavano in quegli anni pervasi d’ Illuminismo il Gran Tour. Obiettivo di questi viaggiatori era certamente quello di ripercorrere le strade della Magna Gaecia, osservare le “pietre” che parlano di storia e di civiltà e ammirare, perché no, le bellezze naturali e forse solo queste sono rimaste impresse dalla penna e dal pennello. Tutto il resto è noia. Il loro comune denominatore si è rivelato in tanta delusione per la scomparsa di ogni traccia del passato ellenico, tanta amarezza per l’abbandono e la miseria e la desolazione dominanti tra la gente calabra. Tanti, di questi aristocratici osservatori (scrittori, scienziati, pittori, medici, archeologi, agronomi), sono penetrati in Calabria soprattutto costeggiandola ma pochissimi si sono inoltrati fino a Stilo e a Serra San Bruno per osservavate da vicino quel che restava dell’antica Certosa. Il primo di questi viaggiatori è stato J. H. Von Riedesel, archeologo, che, nel 1767, via mare raggiunse Capo Spartivento e. scriveva, “da Gerace passai, sempre costeggiando a Capo Stilo, ove sbarcai per andare a visitare la certosa”. Ma non era Serra. Gli altri viaggiatori che si addentrarono nelle nostre montagne, prima del terremoto, nel 1777, l’illuminista inglese H.Swinburne e, nel 1780, il naturalista italiano Fortis che, stranamente, da Serra non è passato. Entrambi, però, hanno commesso grossolani errori. Poi accadde quel che non sarebbe giammai dovuto accadere, “il gran tremuoto” del 1783. Allora Serra diventò tappa obbligata per essere visitata. In quello stesso anno il medico napoletano Giovanni Vivenzio e il conte spagnolo Antonio Despuig e due anni dopo il teologo tedesco Federico Munter si interessarono, seppur vagamente, delle nostre zone terremotate.
Nel 1792 l’economista Giuseppe Maria Galanti, su incarico del governo, venne a Serra Sa Bruno e ne ha lasciato una particolareggiata descrizione che merita di essere riportata. “…È un paese di gente industriosa, ma è privo di quasi tutti i prodotti necessari alla vita. Le arti di falegname e di fornaio occupano quasi tutti i cittadini, queste arti ci hanno una certa perfezione. Vi si lavorano fino orologi a corda da tavolino. Non ci mancano scalpellini quali lavorano rozze statue. Vi manca il gusto e il disegno, che non si può avere senza scuola e senza modelli. [Questi verranno al tempo della ricostruzione della Certosa a contatto con artisti e architetti francesi.]. Comunque “quel che fanno naturalmente mostra che sarebbero capaci di tutto. Le femmine sono per la maggior parte addette a filare e tessere l’arbascio…le donne povere sono addette a legnare….Il suolo della vallata di Serra è di una natura singolare. Non è suscettibile, non che di altri prodotti, neppure di erba. Ciò non pare credibile. È composto di arena e di altre particelle…vi si vede gran quantità di talco in tutta la campagna. Vi abbondano le acque… Nella Serra tutta la gente è applicata a’ lavori di falegnameria o di ferrari”. Un anno prima erano scesi venuti il tedesco L. von Stolberg che visitò Vibo, Mileto e Oppido ma non toccò Serra e chissà perché e l’inglese B.Hill che lasciò solo una vaga descrizione sul terremoto. L’800 fu il secolo di più intensa frequentazione di studiosi. La Calabria continuava a non essere facile da esplorare giacchè risultava ancora inospitale, senza alloggi e sempre abitata da briganti e senza strade sicure tanto da far scrivere a D. De Tavel che“con simili vie non bisogna dunque stupirsi se la Calabria rimane isolata.” Lo stesso per A. De Custine nel 1812. Nonostante ciò non mancarono, e non furono pochi, i viaggiatori che si sono inoltrati fino a Serra per osservarla e raccontarla non sempre con esattezza. Nel 1818 l’inglese R. K. Crafen e dieci anno dopo C. T. Ramage osservavano le stesse cose: case costruite in legno, temperatura fredda e produzione di uva (?), due o tre piccole chiese ecc… e sulla Certosa “una volta meraviglia e orgoglio di queste sperdute radure, ora invece triste monumento della catastrofe di cui è stato vittima”. Dopo poco più di mezzo secolo dalla tragedia del 1783 cosa si poteva attendere! A metà del secolo, 1852, per il medico svizzero Rilliet “il paesaggio ha lo stesso aspetto delle nostre montagne della Svizzera”, insomma “ una bella cittadina, tenuta ben pulita, ben fabbricata, con larghe strade lastricate con cura, piazze spaziose, circondate da belle case e da chiese…l’interno delle case è infinitamente più comodo e più pulito che negli altri luoghi della Calabria.” Chiude il secolo, 1866, l’archeologo francese L. Palustre de Montifaust al quale il monastero bruniano appare come una città fortificata e il laghetto di Santa Maria “una piscina salutare offerta ai ciechi, ai sordi, ai lebbrosi”. Esagerato, un tantino! Il ‘900 non è stato un secolo avaro di visitatori studiosi e personalità illustri, basta citare soltanto Einaudi, De Gasperi e i papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ma qui piace ricordare N. Douglas per la sua straordinaria simpatia; nel 1912 qui venne e confessò di non conoscere nulla della storia di Serra San Bruno “ se non che ha fama d’essere uno dei luoghi più bigotti di Calabria.” E aveva ragione: arte, storia e fede ne fanno un popolo molto devoto, “bigotto”.
Un lavoro piacevole,breve e conciso sui personaggi di spicco che hanno visitato Serra nell’antichità. Come sempre Stirparo riesce a condensare gli avvenimenti della sua e nostra terra, in modo esauriente nel rispetto della realtà del tempo.