Lo scorso mese di aprile presso il Centro Direzionale della Banca di Credito Cooperativo Mediocrati di Rende a Giuseppe Barberio, poeta di Crucoli, è stato assegnato l’ambito riconoscimento del Premio Letterario Amaro Silano 2015 per il libro “C’era ‘na vota Cannilevaru” edito da Progetto 2000 di Cosenza. Per comprendere la giustezza del premio e il merito di Barberio piace fare mie le parole del nostro collaboratore il giornalista Mimmo Stirparo il quale, in prefazione all’ultimo lavoro “A casa ‘e pezzenti ‘un manchinu…stozzi” (Progetto 2000, Cosenza 2015), annota che “il suo scrivere, il suo verseggiare è un tutt’uno con l’amore per la terra, per le radici”. Ancora Stirparo: “Barberio scrive come parla la sua gente, suo padre, e lo fa per non recidere quel cordone ombelicale che ci nutre di terra arida sì ma bella e tenera nel cuore”. Da questo libro e dai tanti altri scritti precedenti del poeta crucolese si ricava una umanità non limitata, che si espande generosamente, sino ad abbracciare uomini e natura, la sua donna e la sua aria, il suo paese, le sue colline, il piccolo podere paterno “terra avara ed ingrata” di contrada Elo col vecchio casolare che ti accoglie festoso e che tanto ama da non abbandonarlo, il suo santuario, la sua Madonna di Manipuglia. E il tutto espresso in uno stile sobrio, essenziale, che evita l’aggettivo roboante, che frena la spinta all’afflato lirico con una pacatezza di parola sempre più affinata e penetrante fino ad una raggiunta misura del poetare che consente alla sua poesia una impronta inconfondibile.
Dotato di quella rara virtù che è la capacità di far sintesi e semplicità che è proprio dei temperamenti più sicuri, il Barberio riesce estremamente efficace nell’espressione di sé stesso, dei riflessi del mondo che lo circonda ed anche delle immancabili ansie del suo pensiero. In una parola, Barberio scrive, come afferma Stirparo, “per ricordare visto che noi della civiltà postmoderna siamo soltanto dei numeri codificati in ogni agire della vita, dalla nascita al tramonto dell’esistenza. Insomma può succedere ed anzi sta già accadendo che andremo a perdere la nostra identità, la nostra storia, il nostro passato, il nostro essere, il nostro nome, la nostra terra per mano di coloro che devastano la bellezza e i sogni, che fanno scempio là dove si è creato, costruito, seminato, là dove i nostri padri col sudore della fronte si son spezzati la schiena. […] Insomma ricordare, fare memoria, non mettere una pietra sopra a tutto ciò che comincia ad avere a che fare l’ieri.” È un poeta giovane, Barberio, ma già di altri tempi, perché, per V. Santoro: “Sorprende la sua estatica, commossa partecipazione alla vita che lo pone in posizione originale, autenticamente libera rispetto a tanta cultura della morte…in un tempo ‘tragico’…dominato dallo scetticismo e da un relativismo gnoseologico e morale angosciante, che spiazza e disorienta, che lascia gli uomini senza punti di riferimento, in balia del dubbio, che ha generato dal suo intimo quel trionfo dell’effimero, che scompone e disgrega e rende provvisorie e occasionali le mode, ma anche i modelli culturali e i valori morali, egli, in controtendenza, innalza un inno alla vita”. Penetrando fra le liriche raccolte in A casa ‘e pezzenti ‘un manchinu…stozzi, si può annotare che il sogno e la memoria, la terra, il vento, il mare, la nostalgia sono i luoghi di una metafora che recita il tempo della vita, il tempo della solitudine, il tempo della maschera e del sogno che sono componenti essenziali nel viaggio dell’uomo. Una poesia fresca, refrattaria alle mode del tempo, seppure legata ad un impegno personale, che si slarga poi a motivi ed esiti universali. Per concludere, Barberio, scrive Mons. Antonio Staglianò, in presentazione ad un’altra sua opera, “ci ricorda che ‘siamo umani’: è una memoria di identità che non dovremmo mai perdere.”
Sei unico a tenere alto le nostre radici bravo