Credo che il futile tentativo di liquefare il territorio calabrese, pensando a ridisegnarlo su carte geografiche, avviando ‘danze’ non meritevoli di festeggiamenti, a fronte di un territorio reso assai fragile, bisognoso, abbandonato a se stesso dalle politiche ciarliere e autoritarie locali e nazionali, sia alquanto improponibile nel termine di ‘fusione’.
E, circa le affermazioni del dott. Orlandino Greco, (leggi l’articolo) secondo il quale la nostra Regione è vittima perenne delle trascuratezze politiche nazionali – ancora si pensa in questi termini, ammorbando il popolo con congetture di autocommiserazione da rigurgito – escludendo così oneri della politica locale assai mediocre, per niente estranea a responsabilità e, altresì, non potendo trovare soluzioni per l’annoso e problematico dilemma di sviluppo paventato, adduce come causa di fallimento delle aggregazioni la pratica di difendere i campanilismi. Ergo: è facile capire la causa quando esiste il deterrente, per fortuna e, grazie a Dio, da tenere in conto! Il campanilismo non è elemento di dissolvenza, piuttosto di riconoscenza, gratitudine territoriale e, a mio avviso, amabile senso d’appartenenza radicale.
E, riguardo l’argine che costituirebbe il campanilismo, a proposito delle lobby nella semina ospedaliera, sono queste stesse che dovrebbero essere perseguite, senza pensamenti farraginosi ai fini della comprensione, delle concessioni date, capire a benefico di chi e a discapito di chi si è seminato. Ciò costituirebbe una buona disamina politica da cui partire, senza nulla togliere alle eccellenze professionali che la Calabria fruttifera detiene. Disamina necessaria, però, al fine di una efficienza di servizio sanitario in tutta la Regione, che tutt’oggi registra difficoltà e numerosi concittadini impossibilitati a curarsi o costretti a farsi curare fuori Regione.
Inoltre, nei ‘recinti’ di solito vengono poste le pecore, e non a caso il linguaggio adoperato a volte dice di più dei contenuti: il Popolo Calabrese non vive nei recinti, non è auspicabile alimentare direzioni dirigenziali di questo genere, si nasce liberi e qualora apparentamenti di interesse politico-economico vengono avallati, in qualche modo, è necessario far sì che non esistano, questo sulla base del più semplice criterio della distribuzione equa di risorse nel territorio, il che significa che non è pensabile un vantaggio per pochi ma per tutti.
Partire dai servizi è obbligo politico, non il veicolare velleità pretestuose di dissociazioni intra locali, che non garantiscono supposte soluzioni. Mantenersi concentrati e attenti alla realtà è la risposta più semplice per capire come far progredire un territorio. E, se sono definiti intelligenti coloro che si adeguano a ‘liquefare’ il territorio, perché confacenti a tale proposito di fusione, quindi chi acconsente è intelligente e chi non, Non lo è, ben venga giudizio che lascia il tempo che trova da menti di non lauta lungimiranza. Fare perdere identità ai territori non credo sia soluzione di costruttiva convivenza sociale, capace di riverberi e sviluppo per la cittadinanza, tantomeno di valorizzazione della Regione Calabria, piuttosto di disgregazioni tra i cittadini. Ergo: i contenuti e il linguaggio sono fondamentali per costruire, mentre il termine ‘fusione’ non costruisce ma cancella l’esistente!
E qui non si tratta di campanilismo, è necessaria la consapevolezza della conoscenza, del dato storico e, soprattutto, l’umiltà di riconoscere responsabilità politiche che vorrebbero trovare nel mysterium fidei della ‘fusione’ la soluzione di sviluppo calabro.
Quale realtà territoriale rinuncia alla propria storia? Perché continuare a illudere, lasciando che la propria gente acconsenta alla follia dell’evanescente, approfittando del nobile e atavico senso di genuinità, semplicità, fiducia che la gente di Calabria dona a cuore aperto? Si inizi a fare politica con quanto il territorio, e per dono del Cielo, non di chi astrattamente e a tentoni si propone di amministrarlo, già ha nel suo patrimonio: storia, cultura, tradizioni, bellezza paesaggistica, il comparto agro-alimentare da incentivare, le produzioni vitivinicole, non dobbiamo dimenticare che il territorio ha suoi caratteri già saldi, come non dobbiamo dimenticare la meraviglia incontaminata nelle sue profondità marine e montane.
Ritorno a ricordare che: bisogna dare luce al proprio territorio, e non con soluzioni di pressappoco; tener conto della storia dei Comuni, dei luoghi nel rispetto delle persone, anche di quelle poco ‘intelligenti’ quando non condividono visioni lunari, come la sottoscritta che non accetterà mai la definizione e applicazione di fusioni territoriali; rispetto delle persone, che devono essere il centro dell’operare politico e avere contezza reale e di verità delle cose che si propongono. Chi abiura la propria radice e storia, per prospettare funambolicamente nuove opportunità di sviluppo, è destinato e scomparire. A questo si vuole far arrivare la Calabria? È questo l’intento della politica della Regione Calabria?
Necessaria è la capacità di lungimiranza e di critica costruttiva, non demolitiva, soprattutto aggregante nel servizio non di separazione intra populo. Ben vengano i sodalizi locali, quelli che agevolano i servizi. Pensare a questo già sarebbe un buon proposito di cammino, di costruzione.
E, poiché è necessario non far finta di nulla, memento: quando il Costituente del 1948 scrisse all’art. 5 della Costituzione: “La Repubblica riconosce e promuove le Autonomie locali”, attribuì ai Comuni italiani l’attestazione più significativa e importante che si potesse dare: riconoscerli, e sapere che essi ‘venivano prima’ della Repubblica, poiché arrivavano dal passato. Fare tesoro della storia, ogni tanto, sarebbe opportuno: i Comuni, piccoli o grandi che fossero, nelle loro autonomie, sono stati -dall’anno 1000- le prime forme di società di sviluppo, e si fondano su principi opposti a quelli del feudalesimo, poiché prevedevano la partecipazione di tutta la popolazione, con le loro singole peculiarità. Inoltre, sempre dall’art. 5, si stabilisce che “la Repubblica adegua i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento” e, con ciò, riconosce anche che essi erano e restano forti e vitali, pronti a reggere la sfida del futuro. Riconoscimento che costituisce la colonna portante su cui poggia tutta la nostra Repubblica e che, per le ragioni dette, si riferisce prima di tutto proprio alla posizione del Comune: l’istituzione che più di ogni altra, ha rappresentato il concreto incarnarsi di questa dimensione di autonomia. Qualsiasi riflessione sui Comuni, soprattutto sui piccoli Comuni, va fatta sempre alla luce di questa consapevolezza, e nel rispetto profondo di questa dimensione.
Lo sforzo politico deve contenere progetti, idee che sappiano avere riscontro sul dato reale, saper essere unitario per contribuire allo sviluppo di un territorio che, diversamente, non decolla. La rinascita locale parte allorquando si riesce a penetrare la profondità delle sue risorse, dei suoi talenti, allorquando l’analisi politica si divincola dalle parcellizzazioni e comincia a pensare al collettivo, secondo le sue specifiche, nel rispetto delle risorse locali. Svincolarsi quindi dalle appartenenze ideologiche di partito, per iniziare a saggiare l’idea di costrutto del bene fare, indipendente e libero da capestri che fanno sempre il gioco di qualcosa o qualcuno. Si fermerebbe anche così la criminale abitudine clientelare del ‘compiacere’.
Liberi, bisogna essere liberi e onesti intellettualmente per rafforzare il territorio assai provato di Calabria. Preservare e non liquefare le Comunità locali, le loro identità, e autonomie. Un esame approfondito delle potenzialità e ragioni di sviluppo, a partire dalla logistica – che non valorizzi solo una parte, ma favorisca tutto il territorio -, è sì questo un dato ragionevole da perseguire, come anche la necessità di servizi possibili ed efficaci da garantire.
Certo si chiede luce di intelletto, ma con un pò di buona volontà e non perdite di tempo velleitarie, forse si riuscirà a superare l’io e a computare il Noi in Calabria, ancor più se si acquista consapevolezza che dire di no all’ ‘imperfetto’ umano: è facoltà possibile e coerente! Dominus virtutem populo suo dabit.