Il Cirò DOC compie 50 anni. . Mezzo secolo da quell’aprile del 1969 in cui i capostipiti delle famiglie viticultrici della città decisero di ottenere il giusto riconoscimento per il vino simbolo della regione Calabria, lo stesso che veniva offerto ai vincitori delle olimpiadi come nettare degli Dei, vino a cui sono state anche attribuite doti curative. Peculiarità benefiche tramandate nei secoli, anzi nei millenni, da quando in Calabria si pratica la vitivinicoltura. Non a caso la regione venne chiamata Enotria, grazie alla particolare fertilità dei suoi terreni, così adatti al crescere rigoglioso del vitigno Gaglioppo, unico per le sue caratteristiche organolettiche e sensoriali. Il Cirò Doc è stato il primo vino in Calabria ad ottenere la Doc. Dal 1969, la produzione del nettare rosso, bianco e rosato si è evoluta, divenendo uno dei motori trainanti dell’economia calabrese, nonché attrazione turistica, tanto da suscitare l’interesse degli esperti di vino internazionali che lo hanno definito come il prossimo vino di punta italiano. La svolta commerciale e strategica è arrivata però nel 2003, anno in cui è stato fondato il Consorzio di Tutela Vini DOC Cirò, che nel 2007 avrebbe poi inglobato il Consorzio Dei Vini DOC Melissa, territorio contiguo alla DOC Cirò. Da quel momento, si è cercato di unificare l’estrema frammentazione dei terreni e delle proprietà, facendo squadra, mettendo a disposizione la flessibilità e l’innovatività dei piccoli e la forza economica e la stabilità delle grandi, facendo apprezzare e conoscere il Cirò come grande vino italiano. Per questo, si sono celebrate due giornate ricche di appuntamenti, degustazioni di annate storiche e conferenze sull’evoluzione dei gusti dei consumatori, su nuove sfide e sugli strumenti adatti per accoglierle. E’ stato il riconfermato presidente del Consorzio Vino Tipico Cirò, Raffaele LIbrandi ad introdurre i lavori e tracciare le linee sulle quali si è mossa, modificata e sviluppata la filiera produttiva e distributiva del Cirò, laddove, ha spiegato, “ Oggi la situazione è totalmente cambiata”. “Già nei primi anni ’90 abbiamo assistito a un progressivo decremento della vendita dello sfuso, ma il cambio radicale, quello che ha influito in maniera sensibile sullo sviluppo della denominazione e del Consorzio, lo abbiamo avuto negli anni 2000. C’è stata un’ondata di ragazzi di Cirò che hanno deciso di intraprendere studi in agraria per apportare competenze e know how a quella che era l’azienda di famiglia. Grazie al cambio generazionale, oggi Cirò è una realtà produttiva nella quale convivono la grande azienda tradizionale e la piccola azienda biologica o biodinamica. Questo impulso, negli ultimi anni, ha determinato un incremento produttivo di tutto rispetto, portando da 3 a 4 milioni le bottiglie prodotte e collocate sul mercato.” Ha poi parlato dei prossimi obiettivi e progetti che in parte avviati si vogliono potenziare e migliorare.”Il principale, ha detto, è costituito da “Rosautoctono”, l’istituto del Vino Rosa Autoctono Italiano, al quale abbiamo aderito lo scorso anno insieme ai Consorzi Chiaretto di Bardolino, Valtènesi, Cerasuolo d’Abruzzo, Castel del Monte e Salice Salentino. Abbiamo deciso di formalizzare la costituzione di un consorzio di secondo livello, con funzioni di promozione e valorizzazione del vino rosa italiano, al fine di consolidare il mercato e far sì che per tale vino, autentico, capace di parlare ai giovani, alle donne e all’estero, si costruiscano interessanti sbocchi commerciali.” Rosautoctono che sarà al centro del prossimo Cirò Wine Festival che sarà riproposto dopo i brillanti successi degli anni scorsi. Ma, forse, crediamo l’obiettivo principale e più importante è quello tendente ad ottenere il riconoscimento della DOCG Cirò Rosso Classico Superiore, la cui domanda è stata appena depositata in Regione per dar via all’iter burocratico. Queste attività, unitamente ad altre iniziative che hanno in passato portato il Cirò a vincere
l’ottava edizione del Premio al Territorio, riconoscimento che Vinarius attribuisce a un particolare ambito geografico in virtù della sua vocazione vitivinicola, del suo paniere agroalimentare, dello sviluppo sostenibile, della tradizione, della storia e della sua accoglienza turistica. E ancora, le molteplici iniziative nelle cantine e nel borgo antico di Cirò. Altro obiettivo che il Consorzio si è posto nei prossimi anni è quello di sviluppare una sempre maggiore attenzione alla sostenibilità della produzione e ai metodi di coltivazione bio, sia per andare incontro alle esigenze di mercato, in costante mutazione e sempre più attento alla provenienza e alla qualità dei consumi, sia per fornire maggior sostegno al territorio. Uno sforzo del Consorzio che oggi ha realizzato numeri importanti ma ancora che devono essere implementati, infatti oggi vi sono: Ettari vitati: 2500 di cui 400 rivendicati a Cirò DOC Classico; Viticoltori: 200 – Vinificatori: 54 – Imbottigliatori: 45- Numero bottiglie prodotte nel 2018: 4.099.067 – Giro d’affari dalla commercializzazione: 15 milioni di euro. Tra le autorevoli e qualificate presenze, vi è stata quella di Oreste Gerini, direttore generale dell’Ispettorato repressioni e frodi del Ministero delle Politiche agricole, che ha spiegato e illustrato le funzioni del suo ispettorato, il consigliere regionale Mauro D’Acri e il D.G. Agricoltura regione Calabria, Do Giovinazzo che al convegno nella location di Borgo Saverona hanno fatto il punto dei grandi progressi del Cirò e di tutto il territorio. E poi, gli interventi del direttore generale di Valoritalia, Giuseppe Liberatore e del presidente di Asseenologi di Calabria-Puglia e Basilicata, Massimo Tripaldi e dei sindaci, Falbo, Paletta e Greco. Inoltre l’indicazione del presidente di Federdoc, Riccardo Ricci Curbastro che ha insistito sulla necessità di accorpare le produzioni del territorio in un’unica doc, avendo la stesa base ampelografia. Ancora il presidente di Valoritalia, Francesco Liantonio che ha messo in risalto l’importanza del nostro territorio e del suo patrimonio. Le conclusioni sono state della responsabile progetti di Valoritalia, Sandra Furlan che, riprendendo la criticità relativa al prezzo di commercializzazione dell’uvaCirò, precedentemente sottolineata dal Presidente, Raffaele Librandi, ha proposto un progetto pilota per una denominazione sostenibile , per dare valore aggiunto alla stessa Doc, garantendo così un migliore reddito complessivo dei vari settori, con innegabili benefici anche sociali.
Per l’occasione, l’esperto e professionale sommelier, Ruperto, collezionista ha voluto portare il primo decreto firmato dal Presidente Saragat della Doc Cirò e nel ringraziare il vicesindaco di Cirò, Giovanna Stasi, per l’invito, ha voluto postare su FB quanto in appresso riportato che crediamo sia un pensiero comune.
“Ringrazio il vicesindaco Giovanna Stasi per aver pensato ad invitarmi per esporre il Decreto Istitutivo originale della DOC Cirò del 1969 che con molta fatica ho trovato e recuperato un po di anni fa. Almeno una persona che ha apprezzato il gesto compiuto affinché questo reperto cosi prezioso non andasse perduto, quindi non ho potuto dire di no.
Al nostro vino e leggenda Cirò DOC auguro una DOCG ormai alle porte preziosa, precisa, “omogenea” .. si omogenea, visto che negli ultimi anni assistiamo ad una comunicazione più da individualismo che di squadra. Quando si parla di Barolo (per esempio) si parla di Barolo, di un comune, di un territorio e di un solo vino, con precise caratteristiche, oggi, posso affermare con certezza assoluta che al consumatore finale (ne servo decine al giorno) è arrivato un messaggio diverso, un messaggio che parla di un cirò del professore, un cirò del piccolo, un cirò del grande, un cirò dell’artista, un cirò dell’estroverso, un cirò di pinco pallo ecc ecc… il vino cirò è uno solo, viene fatto in un territorio unico, con un vitigno unico, che a seconda delle tecniche di produzione, vinificazione e affinamento darà vita ad un vino che si può avere diverse sfumature, ma il DNA nel bicchiere resterà quello se ci si attiene al disciplinare. Se posso permettermi di dare un consiglio visto ci sono dentro con tutta l’anima nel raccontare i vini calabresi a chi i vini calabresi li beve, raccontate un solo territorio, un solo vitigno, e un solo vino, raccontiamo la sola storia che ci appartiene, perchè quando nella Terra degli Enotri si trasformava l’uva in bevanda alcolica (che i Greci chiamarono Krimisa in onore della città in cui il succo fermentato nasceva) probabilmente nella gran parte del resto del mondo non ne conoscevano nemmeno l’esistenza. Fate tesoro di questo dono.”