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Home Altre Notizie

Fratelli Bandiera, l’associazione Pedeia invita Napolitano in Calabria

by La Redazione - ilCirotano.it
31 Maggio 2013
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Fratelli BandieraIn occasione delle celebrazioni per la spedizione dei fratelli Bandiera e degli altri 17 eroi, l’associazione Paideia di Crotone/S.Giovanni in Fiore invita il grande Presidente (padre degli italiani) a venire a rendere onore agli Eroi Immortali, Attilio ed Emilio Bandiera ed ai meravigliosi giovani immolatisi per la Libertà e la Democrazia ed al bersagliere Salvatore Bitonti, che all’età di 26 anni ha sacrificato la sua giovane vita per salvare un intero plotone di bersaglieri, accerchiato da sovrastanti forze tedesche. L’ssociazione Paideia si accinge ancora una volta a ricordare la spedizione dei Fratelli Bandiera con una mostra di quadri del compianto amico e pittore, Giuseppe Guido, che ricordano gli eroi italici. Commemorazioni ci saranno presso il monumento che sorge sulla SS.106, bivio Biucchi ed alla Stragola di San Giovanni in Fiore. Dal libro del prof.Salvatore Meluso (zio del dott.Bitonti) sorge luminosa la stupenda avventura dei fratelli Bandiera e degli altri giovani eroi italiani. Nobili, figli del barone Francesco Giulio Bandiera, ammiraglio, e di Anna Marsich; a loro volta ufficiali della Marina da guerra austriaca, aderirono alle idee di Giuseppe Mazzini e fondarono una loro società segreta, l’Esperia (nome con il quale i greci indicavano l’Italia antica) e con essa tentarono di effettuare una sollevazione popolare nel Sud Italia.

Spedizione in Calabria
Nel marzo 1844 a Cosenza, in Calabria scoppiò un moto durante il quale il capitano Galluppi, figlio del grande filosofo Pasquale Galluppi, trovò la morte. In breve tempo ritornò la calma e con la calma il processo, dove furono condannate a morte 21 persone, delle quali solo sei furono giustiziate. Il 13 giugno 1844, i fratelli Emilio e Attilio Bandiera, disertori della marina austriaca, partirono da Corfù (dove avevano una base allestita con l’ausilio del barese Vito Infante) alla volta della Calabria seguiti da 17 compagni, dal brigante calabrese Giuseppe Meluso e dal corso Pietro Boccheciampe. Il 16 giugno 1844 sbarcarono alla foce del fiume Neto, vicino Crotone e appresero che la rivolta scoppiata a Cosenza si era conclusa e che al momento non era in corso alcuna ribellione all’autorità del re. Pur non essendoci alcuna rivolta i fratelli Bandiera vollero lo stesso continuare l’impresa e partirono per la Sila. Il Boccheciampe, appresa la notizia che non c’era alcuna sommossa a cui partecipare, sparì e andò al posto di polizia di Crotone per denunciare i compagni. L’allarme dato, raggiunse anche la cittadina di San Giovanni in Fiore, e più precisamente « …giorno 19 giugno del 1844. In punto che corrono le ore 18 (ore 14 correnti), è qui che giunse la triste notizia che il bandito Giuseppe Meluso di San Giovanni in Fiore, da molti anni rifugiò in Corfù, sia disbarcato nelle marine del Marchesato, con un mediocre numero di persone abbigliate alla militare , ed introdottisi in tenimento di Cerenzia e Caccuri, limitrofo a questo capuologo, col disegno di perturbare la pubblica quiete » (ASCS Imputati politici – Inserito nel libro La spedizione in Calabria dei Fratelli Bandiera,di Salvatore Meluso, Rubbettino editore, 2001) Nello scenario di quel periodo del Risorgimento, fatto di speranze e di delusioni,di eroismi e di martìri, che precedette e si concluse col 1848-49, l’Autore descrive «per tabulas» la vita e l’avventura di due giovani veneziani, ufficiali della marina austriaca, che, scoperto l’ideale dell’unità, dell’indipendenza e della libertà d’Italia,ne fecero la ragione della propria esistenza. Si scopre così, in .Attilio ed Emilio Bandiera, un’originalità di pensiero e di azione del tutto particolare, quale traspare dallo Statuto della società segreta Esperia,redatto due anni prima di avere contatti con Mazzini ed improntato a principi morali e politici e a metodi organizzativi del tutto autonomi. Né manca il grosso dramma personale che coinvolse i due fratelli nei confronti del padre, comandante della squadra navale austriaca nel Mediterraneo; della madre, ferma sostenitrice del benessere materiale e morale della famiglia; della giovane sposa di Attilio, che non sopravviverà alla tragica fine del marito.

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Avvincente diviene ancora di più questa storia, allorché affronta alcuni aspetti al quanto oscuri della cospirazione é della spedizione dei Bandiera, quali quelli concernenti la conoscenza dell’attività dell’Esperia da parte del governo di Vienna, al momento della loro diserzione; il peso esercitato da. Mazzini sulla decisione di partire per la Calabria; la coerenza con le proprie idee di fronte alle lettere inviate dal carcere al Re di Napoli; il presunto atteggiamento favorevole dell’Austria alla spedizione, onde eliminare, senza compromettersi, i capi della congiura nella flotta da guerra; la presunta trasmissione di informazioni da parte del governo britannico, mediante violazione del segreto postale, sulle mosse dei Bandiera. Ma se questi misteri possono ormai – dopo 150 anni – essere svelati, non potrà mai esserlo il segreto di una giovane generazione generosa e alquanto dimenticata, protagonista della prima fase, quella spontanea ed eroica, del Risorgimento: la generazione in cui rifulsero – tra tantealtre – le figure di Goffredo Mameli, di Attilio ed Emelio Bandiera. In copertina: La Battaglia di Palestro, Dipinto di Felice Cerruti-Bauduc, cm. 100 x 48 Museo Nazionale del Risorgimento, Torino Che a tradire i fratelli Bandiera e i loro compagni di sventura fosse stato Pietro Boccheciampe non ci sono dubbi, perché una volta sbarcato alla foce del Neto, il còrso si dileguò per la campagna presentandosi al sottintendente di Crotone, Antonio Bonafede, che lo tenne al sicuro per tutto il periodo in cui gli esperidi ebbero a che fare con la giustizia. Boccheciampe di carattere chiuso ma allo stesso tempo facinoroso con ogni probabilità si era arruolato in quell’avventura per sfuggire alle grinfie di qualche balordo della sua stessa risma, al quale evidentemente aveva pestato i piedi. Di conseguenza egli era distante anni luce dagli ideali patriottici che animavano tutti i componenti della spedizione. Di tutt’altra natura, invece, la collaborazione del sangiovannese Giuseppe Meluso, detto Battistino ‘u nivaro, il quale credeva nel successo della spedizione. Meluso, aveva avuto a che fare con la giustizia del suo paese, tant’è che era stato costretto a fuggire, aiutato in quella sua fuga dal principe di Cerenzia, Ercole Giannuzzi Savelli, che lo aveva raccomandato ad una nobile famiglia istriana, perché lo prendesse a servizio come lavorante. Ora, invece, accarezzava il desiderio di poter fare ritorno a San Giovanni in Fiore da “vincitore”. Ed è per questo che ha frequentato attivamente la casa “Exoria” di Corfù, dove i patrioti si davano appuntamento per discutere gli aspetti politici e militari dell’intera operazione (com’è dimostrato dal disegno riprodotto sopra, che lo ritrae con il tipico cappello a cono dei montanari della Sila, mentre discute insieme ai fratelli Bandiera e a Nicola Ricciotti, capo militare della spedizione, gli ultimi aspetti del piano di sbarco in Calabria). “Ad accompagnarci è una persona del luogo – scriveva Attilio Bandiera a sua moglie – che conosce la zona e ci sarà di grande aiuto per tutto il nostro fabbisogno”. Poi le cose precipitarono sul Colle della Stràgola e da qul momento Meluso è tornato uccel di bosco, seminando le guardie urbane che lo inseguivano al comando del capo Domenico Pizzi. E sul colle silano non s’infrange solo il desiderio di quel manipolo di uomini della libertà venuti da lontano a sollevare il popolo dalla tirannia borbonica, ma s’infrange soprattutto il sogno di libertà di Giuseppe Meluso che torna ad essere un “ricercato speciale” dalle forze dell’ordine, che hanno la meglio su di lui il 3 Aprile 1848 quando in un agguato in località Crocefisso, gli scaricano addosso diverse palle di piombo, una delle quali lo raggiunge al cuore e ne determina la morte. Era il 13 settembre 1943, quando in Corsica, sulla Rotabile n° 193, tra Bastia e il bivio di Furiani, il bersagliere Salvatore Antonio Bitonti, partito giovanissimo dal suo paese sperduto tra i monti della Sila, cadeva sotto il fuoco tedesco, perdendo la vita a soli 26 anni. Credeva fortemente negli ideali patrii, che la famiglia e la scuola gli avevano inculcato prima ancora di arruolarsi e finire al fronte per difendere la causa italiana. Ma quel brutto incontro pose fine ai suoi sogni giovanili. Infatti,“Durante un’azione esplorativa nella quale il suo plotone stava per essere accerchiato da soverchianti forze tedesche, insieme ad un compagno, arrestava il nemico con il fuoco di fucile mitragliatore, permettendo al proprio reparto di portare a termine la sua missione. Individuato e fatto segno a violenta reazione rimaneva saldo al suo posto continuando a sparare, fino a quando colpito a morte cadeva eroicamente sul campo”. Recita così il decreto del Luogotenente Umberto di Savoia firmato il 9 novembre 1944, data in cui gli viene conferita alla memoria la medaglia di bronzo. Da quel giorno sono trascorsi oltre 60 anni e i familiari chiedono, giustamente, un più dignitoso riconoscimento alla memoria del loro giovane congiunto, considerato che ha pagato con la propria vita il generoso gesto di difendere i suoi commilitoni. Il gesto non è sfuggito al Consiglio comunale di San Giovanni in Fiore che all’unanimità, nella seduta del 13 dicembre 2004, ha ritenuto di dover chiedere al Presidente della Repubblica l’assegnazione della medaglia d’oro, alla memoria, del proprio concittadino. Ora pare che qualcosa si stia muovendo sul Colle del Quirinale, dove il presidente Giorgio Napolitano si è fatto portare il voluminoso accartamento, che descrive quella triste pagina di guerra. Sarebbe la prima volta di una medaglia d’oro per un soldato di San Giovanni in Fiore.

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