Crotone abbandonata, dimenticata a se stessa, con le fonti dell’economia inaridite, svanire socialmente nel silenzio di tutti. L’epidemia di tumori scoppiata con la stessa frequenza di un raffreddore. Morti e morenti, una storia infinita che pesa sulla memoria civica e sulla coscienza dell’intero scibile della politica. Siti abbandonati e chiusi per la fine della stagione dell’industria, lasciati a languire a cielo aperto con scarichi continui nelle acque marine o nel sottosuolo. Le possibilità di risalita, si sono perse nel vuoto di una nebbia fitta,annacquando le infinite speranze di coloro che, ancora, cercavano il risveglio della fenice dalla sue ceneri. Eppure, la Crotone del passato, almeno fino al 1975, era in veloce espansione con presupposti di sviluppo e di occupazione a largo raggio, poi, il crollo, la fine delle speranze, il lento decadere di tutto,qualche cosa s’era fermata e il progresso procedeva a retromarcia, cancellando e bloccando la sicurezza del quieto vivere, esistente fino a quel momento. La fine delle illusioni, la perdita di ogni certezza. Esisteva ancora il nucleo industriale, quel sito, per decenni, era stato la scintilla della vita krotoniate, il metronomo che scandiva lo scorrere delle ore e dello spazio. Nessuno possiede il dono di saper ascoltare e imbrigliare la voce del tempo con il futuro che diventa passato e il presente che si trasforma in futuro, non ci sono e non ci possono essere previsioni del dopo, serve solo avere la mente pronta a carpire il sospetto del cambiamento, Crotone, purtroppo, non ha avuto questa capacità. In un libro, dal titolo CROTONE,un attimo di storia,6 settembre1993,Giorni di Rabbia, Giorni di Rivolta, uscito nel 2014, relativo alla rivolta Enichem, tra le sue pagine c’era una fredda analisi della storia industriale miseramente svanita lasciando solo un cimitero di croci arrugginite e la fine tragica del sito, ma nel contempo venivano fatti emergere tutti quei problemi, dall’aeroporto al porto, dalla ferrovia alle strade, dal possibile lancio turistico all’ambiente dequalificato e violentato, ricordando, in un breve asterisco, l’istituto nautico di Corso Messina smontato e trasferito in altri lidi con un tentativo di occupazione fatta dal sottoscritto assieme al povero amico Elio Diogene per sensibilizzare la città è cercare di evitarne la fuga, conclusosi in un nulla di fatto perché eravamo solo in due; il libro non ha avuto successo, forse costava troppo e l’autore era uno sconosciuto. E’ inutile pensare a quello che è stato, guardiamo in faccia la realtà tirando fuori gli ultimi graffi del destino: aeroporto, con la società di gestione dichiara fallita, registri in tribunale, e lo scalo a riprendere la sua esistenza solitaria come sentinella del nulla e dell’inefficienza del potere, con una mega aerostazione faraonica costruita senza la certezza e la cognizione di continuità. La critica nasce dalla profonda amarezza di constatare, momento su momento, la perdita di quello che si poteva avere a cui invece si è rinunciato per non essere riusciti a dimostrare realmente la forza sociale della città. L’aeroporto era ed è un bene collettivo. Le buone possibilità per le ali Crotonesi esistevano pienamente concretizzate in una serie di collegamenti soddisfacenti, ma effettuati, questo è il drammatico, da compagnie discutibili, un usa getta del mondo del volo, o bramose soltanto di guadagni e compensi. Nessuno ha voluto chiedere e spingere la compagnia di bandiera a continuare la gestione, si è preferito, come tante altre volte, lasciarsi sedurre del prodotto estero, mentre il potere regionale prosegue e finanziare la pista di Scalea (costruita sul fiume Lao che ne ha già rosicchiato una parte) in un ipotetico e irrealizzabile avio superficie o produrre progetti per creare su Sibari un altro aeroporto dal costo esorbitante. Un porto, una volta considerato il primo in Europa per potenziale di carico e scarico industriale, oggi morente per l’estinzione di quelle imprese che l’avevano fatto nascere e progredire; poteva e doveva essere riadattato a porto commerciale per creare un proficuo sito per viaggi via mare. La città di Pitagora non ha bisogno di filosofi della critica senza costrutto, ha estrema necessità di ritrovarsi nel vento del domani, rilanciandosi con il turismo in entrata attraverso la rapidità del volo in collegamenti capaci di portare alla zona villeggianti affamati di mare, sole e bellezze della natura. Bisogna realmente riscoprire la storia del turismo collettivo, finalizzato ai ceti lavorativi per trainarli a fare i vacanzieri nel territorio pitagorico che ha un alto numero di alberghi e posti letto. Non ci sono altre risorse, salvo a voler intestardirsi sulle fabbriche per le quali la storia ha già emesso un pesante verdetto di bocciatura. Bisogna capire e scoprire cosa veramente si vuole fare da “grandi”, aspettare che altri si muovano diventa soltanto una pia illusione che non collima con le necessità di riportare un collettivo ad essere se stesso e responsabile delle proprie azioni e del proprio interesse. Concludiamo nell’affermare che la politica dei partiti deve, obbligatoriamente, pensare esclusivamente alla città forse, così, si potrà, finalmente arrivare a costruire qualche cosa di reale per le prossime generazioni.
Gianfranco Turino
Presidente di Calabria Sociale
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