“Guerra e violenza hanno il linguaggio della morte”. Lo ha detto Papa Francesco in piazza San Pietro durante la veglia di preghiera contro la guerra in Siria. Lo sanno bene gli ospiti del Centro d’accoglienza S.Anna, che la guerra l’hanno vissuta sulla propria pelle e da quella guerra sono fuggiti cercando riparo nella nostra terra. Anche loro questa sera si sono riuniti insieme, cattolici e musulmani, per invocare la pace. Ognuno nella propria lingua. Ognuno con il proprio credo. Perché la pace non ha colore, razza o religione. La pace batte nel cuore di chi la morte negli occhi. Quel cuore che simbolicamente afghani, pakistani, nigeriani, palestinesi, eritrei, irakeni e fra loro anche un siriano, hanno ricreato tenendosi per mano anche con gli operatori delle Misericordie (ente gestore del Centro) nella sala tv della struttura per immigrati più grande d’Europa, dove ogni giorno si vive il dramma di chi “quella sconfitta per l’umanità” come l’ha definita il Papa, la conosce bene. Canti spontanei in lingua inglese, preghiere in arabo e in italiano hanno unito tutti, anche i bambini, creando un’atmosfera di raccoglimento, ricco di emozioni. Sentimenti comuni, che arricchiscono quella convivenza apparentemente difficile tra mondi lontani, ma che trovano nel dolore il comune denominatore della speranza: quella pace tanto ricercata e ora invocata più che mai da tutto il mondo. Eppure in quel piccolo angolo del crotonese, ogni giorno si prega, ogni giorno si spera, ogni giorno decine di persone si muovono, ognuno con un compito diverso ma ben preciso: ridare dignità a chi l’ha persa. Ma questo passa purtroppo in secondo piano.