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Home NOTIZIE NEL CROTONESE Crotone

Don Pontieri racconta le diocesi di Santa Severina e Umbriatico

by Mimmo Stirparo
9 Ottobre 2014
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Palazzo Terranova-Aloisio a Cirò MarinaHo avuto il privilegio di presentare, ieri 8 ottobre, nel quadro delle celebrazioni in onore del Patrono di Crotone san Dionigi, nella sala consiliare del municipio di Crotone, il libro “La Metropolia di Santa Severina e la suffraganea di Umbriatico” di Mons. Pietro Pontieri, Canonico e storico savellese, edito, appena lo scorso mese di luglio da Falco di Cosenza. Sono intervenuti, oltre all’Autore, anche il sindaco della Città Peppino Vallone per un breve saluto di rito, il prof. Giovanbattista Scalise archivista della Diocesi di Crotone – Santa Severina ed Erminia Madeo redattrice della Casa Editrice; ha moderato l’incontro Mons. Ezio Limina rettore della Basilica Cattedrale di Crotone.

PERCHE’ UMBRIATICO? – Perché uno studio di tal genere che può sembrare anacronistico, ma non lo è? L’attualità, comunque, è data dal semplice motivo che si tratta di un lavoro che consente di penetrare nel cuore della diocesi di Santa Severina, di fondazione bizantina, nata contemporaneamente ed inspiegabilmente Metropolia data la vicinanza alle Metropolie di Reggio e Rossano capitale del bizantinismo calabrese. Ma si penetra soprattutto nella storia di una piccola comunità, come Umbriatico originariamente Euraton, da sempre in periferia, isolata e poco conosciuta e pure quasi inaccessibile. “Divisa dal mondo dei vivi da profondissimi baratri sul cui fondo scorrono fiumicelli di natura torrentizia, quali il Vono, l’Ilica…in caso di guerra la cittadina diventava una rocca inespugnabile…in tempo di pace era una faticaccia e un pericolo continuo scendere e salire gli strapiombi dei burroni per raggiungere le campagne circostanti”, questa l’amara constatazione di Pericle Maone riportata nel testo. Oggi come ieri! Poco o nulla è cambiato e comunque strana idea istituire una diocesi in un sito di siffatta maniera. Con Umbriatico le altre realtà socio – ecclesiastiche, piccole Chiese come Isola, Cerenzia, Belcastro e quelle di successiva istituzione come Strongoli e San Leone detta anche Leonia, nei pressi di Scandale, già soppressa questa fin dal 1571 per la “sua desolazione”; piccole Chiese che, fino alla loro soppressione voluta dal Concordato col Regno di Napoli col decreto De utiliori di Pio VII del 1818, hanno avuto la loro pur modesta importanza nel panorama non solo diocesano – ecclesiastico. Piccole diocesi, tutte suffraganee, cioè dipendenti dal vescovo metropolitano di Santa Severina, così vicine tra loro e forse istituite per motivi strategici, politici o per espansionismo feudale.

IL LIBRO – È una pubblicazione, questa, ricchissima di notizie, aneddoti e fatti e misfatti confortati da un’altrettanto ricchissima bibliografia offerta su un piatto d’argento alle nuove generazioni di studiosi e cultori di storia patria, ove ne avessero voglia! Una documentazione, come scrive, in presentazione, il prof. Francesco Le Pera, “utilizzata con acume e discernimento, che abbraccia un millennio di storia locale e nazionale, senza che l’autore dimostri neppure una volta di cedere allo spirito di campanile e di voler forzare l’interpretazione delle fonti per dare sostegno alle proprie tesi.” Qui mi piace ricordare, tra l’altro, e proporre ai giovani studiosi i Quaderni di Siberene curati dal prof. Scalise e redatti all’epoca dal vescovo Mons. Antonio Puja e i contributi pubblicati in “Studi meridionali” negli anni dal 1969 al 1972 e raccolti e curati dal parroco di Umbriatico P. Edoardo Maria Caruso. Questo libro, scrive ancora Le Pera, “colma una lacuna nella storia ecclesiastica della nostra metropolia” perché “non si è mai pensato a cogliere i rapporti tra la Metropolia e le singole suffraganee per avere un quadro d’insieme della vita sociale e religiosa delle popolazioni”. Rapporti, aggiungo io, che non sempre erano all’insegna della pacifica convivenza chè le controversie erano numerose ed accanite. Si pensi che all’interno della Metropolia non è stato agevole il rapportarsi con le comunità arbreshe come San Nicola dell’Alto, Pallagorio e Carfizzi con la presenza di papas di rito greco; difficile il percorso verso la latinizzazione avviato già dalla presenza in Calabria dei Normanni, i quali, scrive Pontieri, comunque “tentavano di rispettare le usanze bizantine: per molto tempo infatti accanto al clero di rito latino esisteva ed era abbastanza numeroso quello di osservanza greco – bizantina unito a Roma”; percorso che ebbe il suo traguardo, ma non definitivo, a metà del ‘700 con l’istituzione, nella provincia di Cosenza, a San Benedetto Ullano del Collegio Orsini per volere del papa Clemente XII con l’obiettivo di favorire il ritorno dei greci ortodossi al cattolicesimo. Ovviamente, don Pietro, non ha fermato la sua indagine esclusivamente sulle Chiese locali ma ha operato anche un’ampia e approfondita panoramica sulla storia della Chiesa universale attraverso la conoscenza dei Papi che hanno influito, nel bene e nel meno bene, sulla condizione socio-economica ed ecclesiale delle Chiese crotonesi. A tal proposito, vi rimando alla lettura della recente pubblicazione di Claudio Rendina “ I Papi – Da San Pietro a Papa Francesco – Storia e segreti”. Ce n’è per tutti. Di tutti i colori. Papi zelanti e Papi negletti e immorali. E le povere Chiese di periferia subivano.

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Pietro PontieriSECOLI DI VICENDE ECCLESIASTICHE – Ma in questo lavoro editoriale era proprio necessario il volo pindarico dal Crotonese alla Calabria, a Roma, all’Europa, al mondo intero tra spiritualità e temporalità? Sì, scrive Le Pera, perché don Pontieri “pur portandoci a volte lontano, assai lontano, da Santa Severina, da Umbriatico e dalla Calabria, intende creare quel famoso filo rosso che collega tutti gli avvenimenti umani tra loro senza soluzione di continuità”. La fatica editoriale di Mons. Pontieri abbraccia secoli di vicende ecclesiastiche e socio – economiche che vanno dalle origini della Metropolia dell’antica Siberene (soppressa nel 1952) a quelle della diocesi di Umbriatico e delle altre suffraganee attraverso le epoche bizantine – saracene, normanne, sveve, le infauste angioine, aragonesi, spagnole fino al Concilio di Trento al quale partecipò un vescovo di Umbriatico Mons. Giovanni Cesare Foggia di Rossano. Ed ancora. Un vasto ventaglio di aneddoti e vicende legate ai rapporti, non sempre facili, tra i vescovi di Santa Severina e quelli di Umbriatico e delle altre suffraganee; le questioni sinodali; le condizioni socio –economiche del territorio della Metropolia; gli aspetti antropologici derivanti dall’ambiente periferico,isolato; le controversie teologiche e liturgiche legate al rito greco e latino; la descrizione delle tracce artistiche e documentali lasciate dalle varie epoche; l’incontro – scontro tra popoli e culture diverse; gli influssi sulla religiosità e sul costume; un catalogo variegato e assortito dei vescovi dell’una e dell’altra diocesi. E tra i suoi vescovi che hanno lasciato “traccia indelebile” nell’isolata diocesi di Umbriatico è da annoverare di sicuro il mio conterraneo Mons. Domenico Peronaci del quale mi sono occupato in alcuni contributi giornalistici e sul quale mi sia consentito soffermarmi anche perché ne è un perfetto compendio delle condizioni sociali e cultuali del tempo.

MONS. DOMENICO PERONACI – Nato a Serra San Bruno 1682, laureatosi in utroque iure nel 1717 a Napoli, era uno studioso di alta statura culturale e spirituale e perciò molto apprezzato in Vaticano. Autore di diverse opere rea le quali la “Dissertazione intorno l’ordinanza dei chierici”, la “Teologia dommatica”, la “Logica”, le “Lezioni filosofiche” e tre volumi in folio che trattano “De alienationibus rerum ecclesiarum, et de controversiis iurisdictionalibus”, oltre che autore di ben 10 Relatio ad limina. Fu protonotario apostolico dopo essere stato vicario generale di alcune diocesi. Rifiutò ben due volte la prelatura offertagli da Benedetto XIII. Il papa Clemente XII, il 17 novembre del 1732 lo creò vescovo e prese possesso della diocesi di Umbriatico, il 1° febbraio 1733, “col titolo di barone di S. Martino di Maratea e S. Nicola dell’Alto” e non solo. In virtù di questo titolo potè ricevere, nel gennaio 1735, Carlo III il Borbone ospite degli Spinelli feudatari di Cirò. Si rivelò da subito, oltre che studioso, anche mecenate e benefattore e per questo godette sempre della stima della Curia romana, tant’è che fu nominato, nel 1747, visitatore apostolico della suffraganea di Isola Capo Rizzuto e nel 1750 prelato domestico e assistente al soglio pontificio. Già dalla metà del Cinquecento i vescovi di Umbriatico preferivano dimorare la maggior parte dell’anno nella vicina Cirò, più accessibile, più popolata e più salubre oltre che il centro più popoloso dell’intera diocesi. La popolazione complessiva della diocesi, al tempo del Peronaci era di circa diecimila abitanti, ma nei secoli oscillò fortemente fino ad avere un calo demografico di cinquemila abitanti, determinato da ricorrenti incursioni turchesche, calamità naturali ed epidemie, in particolare il vaiolo nel 1679 che provocò la morte soltanto a Cirò di 550 cittadini. Nel corso del suo intenso e fecondo apostolato al vescovo serrese furono proposte sedi più ambite, quali Gerace e Squillace, ma le rifiutò per vivere nella semplicità e nell’umiltà di una piccola sede vescovile. E risiedette sempre nella piccola Umbriatico, ben 43 anni, una vita insomma sempre nella vigna del Signore, eccetto brevi periodi invernali.

Cattedrale umbriaticoFurono tante le conseguenze disastrose che si ebbero con l’assenza dei vescovi dalla sede vescovile che preferivano soggiornare a Roma o a Napoli. Le amorevoli attenzioni di Mons. Peronaci furono rivolte al popolo rurale che abitava nei piccoli paesi della diocesi, tra loro distanti e poco accessibili. Per questo profuse tutto il suo impegno a potenziare il Monte Frumentario per i poveri, dare ordine alla sua Chiesa, regolare la vita liturgica, disciplinare il clero. Per ovviare alla scarsezza di sacerdoti idonei al loro ministero, ampliò e potenziò in Cirò il Seminario, già istituito solo dal suo ultimo predecessore Mons Loiero, perchè i giovani potessero ricevere una formazione spirituale adeguata, per ovviare ad un clero ignorante e arrogante. Nel 1732 ottenne la proclamazione di san Nicodemo a protettore della città e nel 1735 restaurò ex novo l’Episcopio di Cirò, nel 1753 in un podere della Mensa vescovile, chiamato Mandorleto, fece edificare un palazzo “prope mare” per la salute dei presuli; ridusse in coltura due fondi della Mensa, quello detto Salvogara e lo stesso Mandorleto. Ad Umbriatico, poi, restaurò la cattedrale e il palazzo vescovile. Pur in tanto da farsi per il territorio diocesano, mai dimenticò la terra natia, Serra San Bruno, nella quale ogni estate vi rientrava. Vi fece costruire, a sue spese, la cappella in marmo del protettore di Serra San Biagio. Non solo. Cosa decisamente molto importante per i posteri e per gli approfondimenti sulla Certosa e l’Ordine cartusiano è stato il finanziamento per la stampa dei dieci volumi della storia certosina del vibonese P. Benedetto Tromby. Sentendosi ormai vicina la fine dei suoi giorni, in una lettera datata 11 settembre 1771 così scrive: “ Si accostano gli anni quaranta di mia incardinazione alla Chiesa di Umbriatico, in cui per mancanza di buon’aria sono nella dura necessità di fare ogni anno penosissimo viaggio di tre giorni nell’andare all’aria natìa nei mesi estivi e di quattro indi nel restituirmi alla residenza…al presente per la mia età decrepita e pe’ continui acciacchi di gotta, consumato di forze, mi vedo inabilitato a continuarlo…prego reverentemente Vs. Ill.ma a volersi benignare di farmi meritare…l’indulto della residenza per quel tempo che mi rimane di vita, che prevedo brevissimo”. Non fu esaudito in questo estremo e giusto desiderio e così, nel palazzo del Mandorleto, morì il 5 febbraio 1775. Quindi i suoi resti mortali furono portati nella Cattedrale di Umbriatico dove riposano.

DOCUMENTI E RICERCHE – È ammirevole, scrive Pontieri, “l’ampiezza degli scritti dedicati a questo vescovo dagli studiosi della storia della diocesi. Ciò è dovuto in parte alla durata del suo episcopato, dal 1773 al 1775, ma soprattutto alla sua operosità. Egli ha lasciato una traccia indelebile, in un periodo tutto sommato aperto al futuro.” Naturalmente si ringrazia il buon Dio se Peronaci ha avuto lunga vita episcopale diversamente da tanti suoi predecessori, misteriosamente o per l’insalubrità dell’aria e l’inclemenza del clima, morti prematuramente. Ma il vescovo serrese non se n’è mai lamentato come ebbe a farlo un suo predecessore Mons. Giovambattista Ponzio (1682 – 1689) il quale scriveva che “a causa di questo evento funesto, vivo nel terrore essendo venuto a conoscenza che in poco più di 18 anni sono deceduti circa 10 vescovi”. Non è certamente da biasimare! Per concludere si può dire che è un bel libro che si fa leggere tutto di un fiato o quasi, nonostante la corposità, che ti attrae e ti coinvolge dalla prima all’ultima pagina perché miniera di dati, documenti, notevoli richiami bibliografici e ricerche, fatti storici ormai acclarati e meno conosciuti e soggetti ad approfondimento. È una pagina bella dalle intense sollecitazioni col recupero e la conservazione della storia di un popolo. È un libro che ci coinvolge in un fatto storico ed umano che con forza viva e semplicità ci permette di comprendere meglio l’identità, la fortuna, la sfortuna e il senso di un luogo: la grande Metropolia di Santa Severina e i territori diocesani attorno. Però! Però, Andando a leggere la 4^ di copertina mi sento confortato dalle parole di Pontieri laddove scrive: “forse una sfrondatura avrebbe reso più scorrevole il testo e più agevole la lettura:…”. Sì, si poteva sfrondare qualche pagina soprattutto dell’infausta epoca angioina, per dedicare un capitoletto che descrivesse, dal suo osservatorio privilegiato di membro del Capitolo Cattedrale, sacerdote molto vicino alla gente e di storico, l’attività della nostra Arcidiocesi oggi.. L’attualità sarebbe stato il valore aggiunto per soddisfare la curiosità dei lettori, anche se, per amor del vero, qua e là qualche pennellata non manca.

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