È la porta collinare della provincia di Crotone: Crucoli sita a 380 mt (s.l,m.), tra le valli della fiumara Nicà e del torrente Santa Venere. Dal “De Calabria Illustrata” di P. Fiore leggiamo che Giano Teso Casopero la credette fondata da popolazioni orientali che qui vi approdarono e che chiamarono “Turricula Cruculi” dal toponimo della loro terra d’origine e che il Barrio interpretava come “Coraculum, quod carum bonum significat” (Caro bene). Ma secondo lo stesso Fiore, il nostro centro trarrebbe origine dai Normanni e ciò lo attesterebbe la presenza dei ruderi di un castello di sicura origine normanna danneggiato da un incendio del 1674 e successivamente forse feudo angioino dei baroni di Tarsia. È un suggestivo sito aperto alla vista della marina e della montagna. Infatti da una parte si scorge in modo netto il mare e tutta la pianura e il litorale che si estendono da Punta Alice al fiume Nicà, anche se la visione viene talvolta interrotta dalle piccole alture selvose. Dall’altra parte del paese si ammira invece un paesaggio montano con le cime innevate della Sila. Al centro di Crucoli si trova il vecchio cuore della vita paesana, la piazza Emanuele Di Bartolo che prende nome da un famoso figlio crucolese, pediatra e poeta vernacolare qui nato nel 1901 e morto a Crotone nel 1978 ed autore di alcune raccolte poetiche delle quali la più conosciuta resta “Filu spinatu”. A tal proposito mi piace ricordare, in questa nota, che nel 2006, l’Amministrazione comunale, guidata dal sindaco del tempo Tonino Sicilia, ha voluto onorare il suo simbolo culturale, il suo medico-poeta, raccogliendone i tanti libri editi ed esauriti, altre raccolte inedite e fogli sparsi e pubblicando la ristampa del tutto: l’Opera Omnia elegantemente custodita in un cofanetto di tre volumi che racchiudono le pubblicazioni dal 1956 fino alla morte. Attorno a quel che resta dell’antica fortezza normanna, si apre via Verdi con le due uscite, una detta “Sotto il ponte” che ricorda la presenza di un ponte levatoio e l’altra “Coppa di guardia” che richiama l’antica sede della guarnigione posta a difesa del castello. Della vivacità del vecchio centro storico, coi caratteristici rioni della “portella” e della “scaccera”, oggi rimane ben poco e per via della crescente emigrazione e per lo sdoppiamento urbano verso la pianura e il mare.
Scriveva il compianto Domenico Vitetti che: “Porte chiuse, balconcini, ‘gafii’( scale con terrazzini), evocano ai passanti il ricordo di volti cari, voci amiche, affetti ormai lontani, in un miscuglio di sentimenti che opprimono a volte l’animo. Caratteristica del centro storico crucolese è la sistemazione strutturale delle case, (l’una addossata all’altra), quasi volersi ostinatamente ed orgogliosamente sostenere per reggersi in piedi e lottare insieme contro il logorio del tempo…”. Di sicuro resta il forte richiamo affettivo e religioso che deriva dall’antica Madonna di Manipuglia, protettrice di Crucoli. A 4 km dal centro, su una collinetta verdeggiante di ulivi, già intorno all’anno 1000 sorgeva un piccola aura basiliana come testimonia una piccola cupola al lato sinistro dell’altare che sovrasta e custodisce un’icona di Maria dipinta in stile bizantino, di autore ignoto. L’attuale chiesa si può far risalire al 1300 anche se il Catasto del Conte D’aquino del 1561 riferisce di un tempo ancora più antico. Qui, da sempre, si venera la sacra tela della Madonna detta di Manipuglia, “di cui un primo accenno si trova nello ‘Zodiaco di Maria’ del P. Serafino Montorio del 1715 dove si legge che nel bosco di Manipuglia in una piccola “zona di fabbrica’ era stata dipinta un’immagine di Maria Vergine. Dove si costruì una chiesa e ‘senza guastare l’antica Cona, fu con essa unita la nave di quella che oggi (1715) porta il titolo di Abbazia da conferirsi solamente dalla Sede Apostolica’”. (Bruno Sodaro). Secondo la tradizione la devozione verso la Madonna crucolese è iniziata da quando una donna malata recandosi verso l’ospedale, attraversò il bosco che circondava la “Cona” di Maria di Manipuglia e si smarrì ritrovandosi poi vicina la sacra immagine e si addormentò. Al risveglio si accorse di essere guarita dalla grave malattia che allora si diceva “un serpe al seno” ed inoltre il suo bastone era diventato un giovane ulivo tenero e verdeggiante. Quindi scappò al paese a raccontare il tutto. Così è iniziato il pellegrinaggio di fede, come avviene ancora oggi, che si snoda, la terza domenica di maggio, per due ore di cammino portando la sacra icona tra canti e suoni dalla parrocchia al Santuario. È sicuramente una delle più antiche e suggestive feste mariane della provincia.