“Ferramonti di Tarsia: l’umanità di un lager fascista”. Potremmo definirla così l’esperienza fatta da una delegazione di Cirò Marina che nella giornata del 31 gennaio ha fatto visita appunto ai luoghi che furono e sono testimonianza di uno straziante momento del secondo conflitto mondiale che ha visto patire atroci sofferenze a milioni di persone, ebrei, italiani e non solo. Con la Visita al Campo di Ferramonti di Tarsia, si è conclusa la seconda fase dell’iniziativa “Shoah: Noi, Ambasciatori di Memoria…per Ricordare e non Dimenticare” voluta dalla Commissione per le Pari Opportunità e pienamente condivisa dal Consiglio Comunale dei Giovani e dall’Amministrazione Comunale di Cirò Marina. Nella cornice di una splendida giornata di sole la delegazione, composta da dieci ragazzi dell’I.C. Don Bosco accompagnati dagli insegnanti Rosa Caruso, Simona Caparra e Filomena Zungri, per l’I. Omnicomprensivo di Cirò, da Suor Concetta delle Suore di Sant’Anna, da una rappresentanza dell’associazione Misericordia, Casa Famiglia di Anna Costa, Casa famiglia “S.Antonio” guidata da don Antonio Mazzone, il Consiglio dei Giovani, la Commissione Pari opportunità e l’Amministrazione Comunale con l’Assessore alla pubblica Istruzione, Francesco Ferrara, ha potuto toccare con mano la storia di ciò che fu e che bisogna ricordare per non dimenticare. “Il bianco e nero delle foto di quegli anni, la luce dei raggi del sole che filtrava dalle finestre, la sensibilità della guida nell’esporre le testimonianze hanno creato un suggestiva ed emozionante combinazione di passato e presente visibile sui volti di ognuno di noi” ci ha dichiarato la vice presidente delle pari opportunità, Pina Malena. Nel raccogliere le dichiarazioni della delegazione, della quale lo stesso assessore Ferrara e tutti gli altri si sono resi portavoce, si comprende come, Ferramonti sia divenuto un luogo creato per rendere presente la forza del regime fascista e della sua alleanza con la Germania nazista. Era parte di quel progetto del Ministero dell’Interno, messo in atto già tre mesi prima della dichiarazione di guerra in linea con le leggi razziali, che prevedeva la costruzione di campi di concentramento e luoghi di internamento per ebrei stranieri ed italiani, rastrellati brutalmente dalle loro abitazioni, cui si aggiunse, contestualmente allo scoppio della guerra, la reclusione dei cosiddetti “sudditi nemici”. Il regolamento, teso a mantenere i rigori delle leggi di pubblica sicurezza, era ferreo.
Tra appelli ripetuti durante la giornata, l’obbligo del saluto romano alla bandiera, di non leggere né scrivere o ricevere lettere se non attraverso la direzione, non giocare a carte. La loro trasgressione veniva repressa violentemente. La storia sul campo ha una sua discontinuità, dal momento della liberazione è come se fosse stato messa in atto una dinamica di rimozione collettiva tanto che anche i lavori autostradali si sono sovrapposti su quei terreni cancellandone le orme. Il museo della memoria ha conservato la struttura di tre delle 92 baracche originarie, quelle adibite alla direzione e agli uffici dell’amministrazione del campo. Quello che rimane del campo è stato cancellato da un maquillage di interventi di recupero, dalla noncuranza delle istituzioni, ma il museo conserva immagini e documenti che ci restituiscono come referti, una parte della vita degli internati. Una storia, quella di Ferramonti, nella quale si sono incrociate vicende politiche e umane, racconti di vita e testimonianze nel dolore e nella sofferenza che stanno vedendo la luce grazie all’opera della Fondazione “Museo della Memoria Ferramonti di Tarsia”, alla quale si è accostata in modo significativo l’UniCal con seminari a più voci e l’Ufficio scolastico regionale della Calabria, soprattutto per promuovere una didattica della Shoah con le scuole. “La conoscenza di quanto è avvenuto è necessaria”, ci ricorda Primo Levi, anche se la comprensione dello sterminio etnico e religioso rimane ineffabile. La memoria è un valore ineccepibile nella costruzione della convivenza e deve essere coltivata attraverso le generazioni perché non si ripeta più l’orrore di un inutile martirio, la riduzione dell’uomo ad oggetto e si tuteli e curi, invece, la persona umana e la sua esistenza come beni preziosi. Infine, a racchiudere il senso del viaggio nella memoria, riportiamo la dichiarazione, a nome dei tanti giovani presenti, componente del Consiglio dei giovani di Cirò Marina, Federica Marando che rivolgendosi agli organizzatori e alle persone incontrate durante la visita presenti e ha dichiarato: ”E’ un piacere per noi giovani incontrare nel corso dei nostri anni formativi figure e idoli da poter seguire, da poter imitare. Persone come voi, disposte a sacrificare il proprio presente per il futuro del prossimo. E’ grazie al vostro impegno che costruiamo le basi della nostra vita.”
Premesso che il mio non è un giudizio sulle persone e sul loro operato, ma solo il pensiero di una persona che ama la terra che gli ha dato i natali, vorrei dire che portare dei giovani a visitare una struttura come quella di Ferramonti è comunque impegno lodevole. Parlarne è lodevole. Al di là di ogni considerazione di parte, di quel ‘campo’ i calabresi sanno poco o nulla, me compreso, che l’ho scoperto una quindicina d’anni fa. Forse per mia semplice ignoranza, forse perché qualche ‘manina’ ha cancellato delle tracce, o le ha modificate ad arte (Ustica insegna). Su “Ferramonti di Tarsia: l’umanità di un lager fascista” ho delle serie riserve: sarà stata una svista, ma forse era più esatto scrivere: ”L’umanità in (e non ‘di’) un campo fascista”.
Saluti sinceri.
Egregio Prof. Rende, Buonasera! La ringrazio per aver rilevato così attentamente numerose “falsità” nel suindicato articolo. Mi preme precisare che le notizie “falsamente riportate” sono state ricevute e condivise grazie all’opera di volontari presenti al campo in veste di guida. Quanto alla disinformazione e al risultato dell’intervento in ambito educativo, preferisco non esternare le mie personali considerazioni e senza voler entrare nel merito di chi “affossa” o “valorizza” testiominianze storiche come quella in oggetto, ricorderò il suo nome nel caso l’esperienza dovesse ripetersi: La inviterò per “maggiori e veritiere informazioni”.
Cordialmente Grazie,
Pina Malena
Buongiorno! Un avviso di google per Ferramonti mi ha portato al Vs. Articolo. Avendo studiato e ricercato su quel campo e avendone scritto un libro, mi permetto di intervenire. Vero il regolamento con appelli e proibizioni, ma falsissimo ció che dite riguardo alla violenta repressione. Era esattamente il contrario. Questo documentatissimo. Ugualmente falso il fatto che l’autostrada ha distrutto il campo: documentato che al massimo ha distrutto una singola fila di baracche. Falso che la struttura ora museale é posta in ex baracche della amministrazione restaurate. Non erano baracche ma edifici in muratura (ingenuo pensare che l’amministrazione del campo fosse in baracche come gli internati) a cui hanno recentemente aggiunto edifici ex novo la cui architettura ha provocato molte e giuste polemiche. Falso il fatto che la Fondazione da Voi citata sia quella che sta facendo venire alla luce i fatti storici e documentali. Prima di lei il maggiore contributo lo si deve al Prof. Capogreco e non mi sembra che loro in questi anni abbiano prodotto molte ricerche storiche. Considerando che il Vs intervento rivolto in ambito scolastico educativo, mi domando…ma perché non vi informate prima di scrivere leggendo della documentazione storica (anche di fonte ebraica) anche accessibile online?
Cordialmente,
Prof. Mario Rende