“Vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l’asinello”, così le Fonti francescane raccontano la nascita del Presepe. Il Presepe, la tanto bistrattata rappresentazione della Natività di nostro Signore Gesù, ha una storia abbastanza datata. Risale, appunto, a San Francesco d’Assisi al quale, nel 1223, fu concesso poter rappresentare la nascita del Redentore nelle vallate di Greccio. Fu una notte di dicembre, quando il Poverello assisiate, attraversando un bosco, vide una grotta che gli ricordava i luoghi di Betlemme. Subito chiamò il castellano di Greccio Giovanni Velita e gli disse: “Voglio celebrare teco la notte di Natale. Scegli la grotta, costruisci la mangiatoia ivi conduci un bove ed un asinello. Tutto perché voglio vedere con i miei occhi, almeno una volta, la nascita del Divino Infante.” Secondo Tommaso da Celano, biografo di Francesco, il Velita esaudì il desiderio del Poverello e fece convocare i frati e tutti gli abitanti della valle che salirono verso la grotta con ceri e torce luminose. Insomma Greccio come Betlemme. Si scrisse che “le stelle fecero della notte un giorno di luce e la selva risplendeva tra le fiamme dei ceri come alberi d’oro. I canti lieti delle genti accorse rompevano il silenzio della valle e l’eco faceva sembrare che le rocce prendessero parte alla incontenibile gioia.” Giovanni Velita, cavaliere di grande virtù e degno della massima fede, sostenne di aver visto quella notte un bellissimo bambino dormire nella mangiatoia ed il Santo stringerlo al petto. Tale evento, in qualche modo, è confermato dai numerosi fatti miracolosi che seguirono. Grazie alla paglia utilizzata per allestire quel presepe, molti animali furono guariti e allontanate le pestilenze. La rievocazione storica di quel primo Presepe è realizzata a Greccio ogni anno da circa cento figuranti che allestiscono cinque quadri viventi.
Da questo momento nasce il Presepe che è tradizione tutta italiana. Nato dapprima come continuazione del teatro liturgico, fu subito tradotto in tradizione permanente con statue lignee a grandezza naturale. Al presepe liturgico si affiancò, nel ‘600, quello cortese: non proprio laico ma comunque privato arricchito da innovazioni tecniche apportate da artigiani ed artisti, commissionati loro dalla nobiltà. Nel Settecento, poi, le statuine erano ormai miniaturizzate e rivestite di tessuti pregiati, in legno e terracotta. Una schiera di sarti, figurinai, orefici e fabbricanti di maioliche e vetrai con armieri anche, si sviluppò con la voglia di Presepe espressa e portata in auge da Carlo III, la cui consorte Amalia di Sassonia cuciva personalmente i minuti abiti. Successivamente il Presepe si costruì col “ masso – scoglio”, un blocco monolitico circondato da un complesso sistema di montagne, fiumi, ponti e scene di vita pastorale. In questo contesto si sovrappongono più scene presepiali o comunque nuclei tematici: quello centrale è la sacra capanna, di solito affiancata dalle rovine di un tempio greco – romano, simbolo del trionfante Cristianesimo. Assommando mode e tendenze, il Presepe diventa sintesi cosmica di cultura locale e così si hanno gli straordinari presepi artistici di materiali pregiati e figure miniaturizzate, prodotti dall’artigianato meridionale: siciliano, campano, pugliese, calabrese e altoatesino; famosi restano: il presepe borbonico – napoletano della Reggia di Caserta, la tradizione in terracotta di Caltagirone e più recente tutta la variegata presepistica napoletana di via di San Gregorio Armeno in Napoli e dei maestri Ferrigno che ne hanno donato un esemplare ricco e suggestivo di tradizione e modernità a San Pio da Pietrelcina a San Giovanni Rotondo. In seguito, con la diffusione della tradizione presepiale anche per la fruizione dei ceti subalterni, ci si orientò verso un tipo di produzione accessibile ai poveri e soprattutto la tecnica dello stampo incrementò questa tendenza.
Di questa storia povera la Calabria ne è ricca. Sono tanti i paesi della nostra regione che esprimono il presepe povero e comunque ricco di fede e tra i tanti citiamo i presepi di Serra San Bruno frutto questi della famosa e proverbiale “Mastranza di la Serra” e i presepi di Seminara. Oggi accanto alla produzione artistica convive, e anche lievitata, la produzione che utilizza la fantasia dei bambini e i materiali di scarto e ciò soprattutto negli ambienti scolastici. È comunque sia allestito il Presepe, oggi ancora, dopo quasi mille anni di storia, ripercorre il sentiero del misticismo e risponde al desiderio di essere protagonisti del Natale. Non c’è cultura che non abbia fatto il suo presepe e non l’abbia tradotto nel proprio linguaggio, accostandosi al tema con grande libertà: partendo dai popoli e dalle nazioni, dai paesi ai quartieri, si trova che ogni società ha elaborato un suo specifico tipo di rappresentazione della nascita del Salvatore aggiungendo moduli figurativi, che sono la traduzione visibile dell’accoglienza del Cristo e l’espressione di una risposta personale non formale. Son passati molti secoli dal Presepe di Greccio e le generazioni future sapranno perpetuare la voglia francescana di rappresentare la Natività, rappresentare la nascita della speranza dell’uomo? Ma sì, son passati duemila anni e la storia di Gesù è sempre presente a indicarci il cammino della salvezza, una storia che non conosce il finito. E il presepe è un fatto puramente religioso: più precisamente appartiene al Cristianesimo, cioè alla Chiesa e alla sua storia.