Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Seconda) ha definitivamente chiuso la questione sul concorso pubblico per titoli ed esami per la copertura di 7 posti di istruttore amministrativo a part-time a tempo indeterminato espletato dal Comune di Crucoli lo scorso anno. Con Sentenza numero 389 del’8 febbraio 2013, pubblicata però solo l’8 aprile scorso, il massimo organo di giustizia amministrativa, riunitosi in camera di consiglio con l’intervento dei magistrati Massimo Luciano Calveri, Presidente, Concetta Anastasi, Consigliere, e Salvatore Gatto Costantino, Consigliere, Estensore, ha rigettato il ricorso a suo tempo presentato da un gruppo di concorrenti, difesi dall’Avv. Antonio Giovanni Amato, contro il Comune di Crucoli, rappresentato e difeso dall’avv. Francesco Bocchinfuso, e nei confronti dei sette vincitori del medesimo concorso, chiedendo l’annullamento della determina della giunta n. 25 del 29.4.2012 con la quale venne approvata la graduatoria finale. Come si ricorderà, in seguito all’approvazione della citata graduatoria (cui seguì, da parte del Comune l’assunzione dei primi quattro candidati vincitori del concorso) alcuni dei concorrenti non ammessi appunto avevano presentato un ricorso al Tar la cui Sezione 1a ((Presidente Romeo, Consigliere Iannini, Estensore Falferi), nell’udienza del 23 agosto, aveva ordinato la sospensione di quella delibera di Giunta. Subito dopo gli stessi concorrenti vincitori, rappresentati dall’avv. Demetrio Verbaro di Catanzaro, “destinatari”, loro malgrado, della sospensiva, avevano presentato, “ad opponendum” un ulteriore ricorso in richiesta dell’annullamento della sospensiva.
Annullamento che il Tar, stavolta la Sezione 2a (Presidente Massimo Luciano Calveri, Consigliere Giovanni Iannini, Estensore Antonio Andolfi), ha accolto con dispositivo del 18 ottobre, ritenendo sussistenti “i presupposti stabiliti dal codice di procedura per decidere l’istanza di revoca della misura cautelare”, in attesa della decisione di merito che era stata già fissata per l’8 febbraio 2013. Ed arriviamo, oggi, al terzo e (forse) ultimo capitolo di questa spiacevole (per tutti) diatriba combattuta nelle aule del Tribunale Amministrativo calabrese e che ha tenuto col fiato sospeso sia le parti in causa, ma anche le tante persone che l’hanno seguita con attenzione. Alla pubblica udienza dell’8 febbraio 2013, dunque, i Giudici hanno motivato con estrema precisione l’inammissibilità dei vari punti con cui i ricorrenti chiedevano l’annullamento. Ad esempio, in merito al primo ordine di censure (punto II), con cui veniva lamentata la violazione del principio di concentrazione delle prove, così come è formulato, si legge nella sentenza, è infondato: “Risulta infatti – scrivono i giudici amministrativi – che la commissione giudicatrice, il giorno antecedente all’espletamento dei due turni di prova, ha predisposto sei questionari, ciascuno inserito in un plico anonimo, da utilizzare tre per la seduta antimeridiana e gli altri tre per la seduta pomeridiana; e, previa custodia in buste più grandi anonime ha provveduto a far sorteggiare i questionari all’inizio di ciascuna sessione di prove (così come risulta dai relativi verbali, n.d.r.). Dal momento che gli esami si sono svolti in un’unica sede, scissa in due sedute per la indisponibilità di un locale adeguato ad ospitare tutti i concorrenti e per le altre necessità logistiche meglio evidenziate dalla difesa del Comune, non sussiste dunque alcuna violazione del principio di segretezza delle prove e di par condicio dei concorrenti, posto che tutte le prove sono state predisposte in maniera omogenea e con le medesime garanzie di segretezza, né viene prospettato da parte dei ricorrenti che possa essere avvenuta una qualsiasi violazione della stessa segretezza delle batterie di questionari per via della loro avvenuta predisposizione il giorno anteriore lo svolgimento delle prove stesse.”
Con il secondo e terzo argomento di censura, i ricorrenti contestavano l’affidabilità dei test somministrati, anche per la successiva nomina di un esperto di informatica che comproverebbe l’insufficiente preparazione della Commissione: “Non è indicata alcun contenuto errato o specifici aspetti di illogicità o incongruenza per dimostrare che il test somministrato non era bilanciato… – dice il Tar – Quanto alla nomina dell’esperto, va poi condivisa la deduzione difensiva del Comune, che illustra come si sia provveduto a ciò proprio al fine di accertare la fondatezza o meno dei rilievi avanzati da un candidato e dunque per garantire l’imparzialità, la trasparenza e la correttezza del metodo di valutazione.”
E poi ancora: i giudici hanno stabilito che per i ricorrenti, essendo stati esclusi, non sussiste l’accoglimento della quarta censura, con cui lamentano l’innesto della prova di lingua straniera non prevista dal bando, circostanza che per essi non è in alcun modo lesiva. Quanto alla contestazione sulla nomina del Presidente della Commissione esaminatrice, che per i ricorrenti doveva essere presieduta dal Segretario Comunale, secondo quanto previsto nel Regolamento per i concorsi del Comune di Crucoli, approvato con deliberazione della Giunta del 7.6.2004, in effetti inizialmente la presidenza era stata assegnata al Segretario dell’Ente. Esisteva però, una delibera di Giunta (nr. 58 del 1.7.2010, quindi anteriormente agli atti impugnati) con la quale era stata modificata tale norma, che, nel caso di impossibilità o rinuncia di questi, concedeva la possibilità di affidare la Presidenza ad un membro esterno. Sta di fatto che il Segretario comunale, dott. Ciccopiedi, si dimise a concorso avviato e venne sostituito da un membro esterno: “Più precisamente, – si legge nella sentenza – risulta che la nomina a presidente del dott. Marescalco, dirigente della provincia di Crotone, si è resa necessaria perché la Responsabilità dei servizi del comune di Crucoli – a cui spetterebbe la presidenza della commissioni di concorso – è stata attribuita agli assessori, i quali, però, non possono essere componenti delle commissioni e che i dipendenti del comune in possesso della categoria “D” o “C” versano tutti in una situazione di incompatibilità per la presenza tra i concorrenti di un parente entro il quarto grado o affini.” La parte ricorrente, secondo il Tar, lamentava che le determina di nuova nomina non indicava il riferimento all’intervenuta modifica del regolamento, senza peraltro impugnarla e tantomeno contestarla con serie argomentazioni (“la circostanza che non sarebbe stata richiesta una specifica deliberazione consiliare è irrilevante, dal momento che il Consiglio esprime indirizzi, che di per sé consentono ampi margini di applicazione da parte della Giunta”). Con gli ultimi motivi di contestazione i ricorrenti censuravano le modalità di valutazione dei titoli e la mancata attivazione delle riserve in favore del personale dipendente e degli aventi diritto ai sensi della l. 68/99 (invalidi civili): “La prima di tali censure è del tutto generica, – prosegue la sentenza – ed entrambi sono inammissibili dal momento che i ricorrenti non dimostrano di aver subito un pregiudizio a causa dalla non corretta valutazione dei titoli effettuata dalla commissione o del mancato scorrimento delle riserve, che non può avvantaggiare gli esclusi i quali non contestano l’esclusione.” Quanto alla posizione di uno solo dei ricorrenti, che afferma di avere diritto alla riserva ex legge 68/99, ha rilievo ai fini della censura ma viene al contempo respinta dai giudici: “In primo luogo, la difesa del Comune eccepisce che l’Ente ha già assolto l’obbligo di assumere soggetti disabili secondo il rapporto e nella misura stabilita dall’art. 3, comma 1, legge 68/1\999. In secondo luogo, parte ricorrente non comprova il possesso del titolo di cui invoca l’applicazione; inoltre deduce una ragione d’invalidità della graduatoria, ma in maniera solo generica, perché non offre alcuna dimostrazione di quale sarebbe la sua collocazione in seno ad essa in applicazione della preferenza. Più radicalmente, la sua pretesa va qualificata come volta a far valere il diritto all’assunzione.” In sostanza, secondo la suprema corte, il fatto che il ricorrente si voglia avvalere della preferenza non è ragione di invalidità della graduatoria, bensì presuppone “il diritto ad essere preferito, secondo la graduatoria stessa, nell’assunzione in ruolo.” Una pretesa, conclude la sentenza, che lo stesso ricorrente può tutt’ora attivare, fermo restando che spetti al Comune di valutare la sua domanda di assunzione, “accertando nella sede amministrativa e nel contraddittorio con la parte interessata la concorrenza dei relativi presupposti quanto all’asserita copertura dei posti riservati agli invalidi civili.”