Il Partito Democratico, pur vantando l’enorme merito di aver fatto uscire l’Italia da una crisi economica devastante, non ha tenuto sufficientemente conto della enorme voglia di cambiamento che c’era nel Paese.
Il risultato di Cirò Marina è in linea con le percentuali nazionali e conferma un nucleo di consensi che dalle amministrative del 2016 rimane legato alle politiche e ai programmi del nostro Partito.
È un nucleo di consensi stabile solo per merito di chi ha creduto al nostro Circolo e non ha permesso che dopo la sconfitta elettorale del 2016 diventasse terra di nessuno o l’ennesimo commissariamento.
Oggi questo Circolo continua quel percorso, fedele agli ideali di sempre.
È merito degli elettori del PD, degli iscritti e dei dirigenti di questo Circolo; nessuno si permetta di intestarsi un consenso che, nei fatti, non ha; nessuno si accrediti paternità di consensi che non gli appartengono.
Il Partito Democratico di Cirò Marina ha avuto il coraggio di confrontarsi e di scontrarsi prima con le logiche correntizie del partito e poi con un sistema di potere che ormai aveva monopolizzato la vita pubblica di Cirò Marina, così come le ultime inchieste stanno drammaticamente mettendo in luce.
Mai potevamo immaginare che in campagna elettorale sia il livello nazionale che regionale facessero calare un vergognoso silenzio su tutto questo. Gli elettori non sono ingenui e l’hanno interpretato come colpevole desiderio di non urtare la suscettibilità di quanti avevano sostenuto le amministrazioni precedenti.
Nonostante la forte disaffezione storica verso i partiti che governano, il nostro Circolo mantiene e rinsalda quei consensi che gli consentiranno di ripartire, nonostante da troppo tempo il Partito Democratico calabrese ha trascurato, anzi ha dimenticato le ragioni stesse della sua nascita.
Il PD doveva essere il luogo dell’incontro, la sintesi tra le culture riformiste italiane, invece è andato via via affermandosi un istinto di conservazione e una logica di separazione tra le diverse componenti del Partito; si è tornati indietro di decenni con la definizione di correnti, di “anime”, in molti casi contrapposte.
È mancata la capacità di analisi critica verso avvenimenti e segnali provenienti dai cittadini calabresi: quando sistematicamente si perdono le elezioni nelle principali città calabresi, si viene sconfitti duramente al referendum costituzionale, si sfugge al confronto con i propri consiglieri regionali, si perdono malamente le elezioni politiche non aggiudicandosi neppure un collegio calabrese e, nonostante tutto, si rassegnano le dimissioni senza una minima analisi politica del panorama che sta mutando intorno a noi, significa isolarsi dal contesto politico e sociale per rinchiudersi in una cerchia sempre più ristretta.
Un segretario regionale che, solo perché costretto, rassegna, obtorto collo, le dimissioni dalla carica, alla stregua dei grandi studiosi di scienza della comunicazione, che non hanno capito né la scienza né la comunicazione; quelli che fanno i teorici dopo essere stati praticissimi “cantori del nulla”.
I vertici regionali si sono consegnati alla sconfitta come dei volenterosi martiri, purtroppo ben remunerati.
In questi mesi il sacrificio a favore dei nostri avversari è stato una costante.
I vertici regionali non hanno mosso un dito per recuperare il dialogo con i territori, delegando la trattativa ad altri e contando sui pregiudizi altrui, ma rinunciando ad esercitare doverosamente la propria leadership.
Ma una classe dirigente ha il dovere di assumersi la responsabilità delle scelte. Ci sono delle occasioni che reclamano un impegno superiore.
Se la Lega Nord ottiene uno straordinario consenso in Calabria ed il Movimento 5 stelle fa il pieno dei consensi è dovuto sì alla loro bravura nell’interpretare il disagio sociale, ma anche all’inadeguatezza della classe dirigente del nostro partito, che, a tutti i livelli, ha privilegiato le solite logiche di garantirsi un
seggio sicuro (poi rivelatosi una chimera) invece di coinvolgere la base del partito ed i circoli sui temi e sugli uomini da spendere in una delle più difficili campagne elettorali degli ultimi anni.
Il movimento 5 stelle è riuscito a far passare il messaggio che qualunque iscritto, avendone le qualità, può rappresentarlo; al contrario, il nostro partito sceglie i propri rappresentanti tenendo conto sempre di paracaduti e scialuppe di salvataggio per garantire per uno o più mandati sempre le stesse persone: rispettabilissime, ma, con una campagna elettorale all’insegna del cambiamento, si è rivelata una scelta infelice. Il Partito democratico calabrese ha perso la sua vocazione principale: “essere una comunità”. Comunità aperta, che tenta di coinvolgere i cittadini che quotidianamente, spesso intimoriti e un po’ prevenuti, si avvicinano alla politica, anche senza una tessera di partito, ma che vorrebbero essere coinvolti nelle decisioni, non subirle in virtù di un “bene superiore”, non condiviso e tanto meno noto, che guarda caso penalizza spesso le fasce più deboli.
Pretendiamo, così come tutti i cittadini calabresi chiedono a gran voce, che il governo regionale si liberi di ogni eventuale pastoia burocratica che ne limita l’azione e continui a dare risposte concrete per fare uscire la nostra regione dal degrado civile e dall’arretratezza economica in cui versa. Il Partito democratico calabrese non è più il luogo di sintesi delle migliori tradizioni riformiste italiane, ma un agglomerato di gruppi, spesso aggregati dall’idea di essere l’unico partito organizzato, radicato nei territori, che si contrappone al populismo, alla demagogia imperanti in altre forze politiche; e queste non sono motivazioni sufficienti per appartenere ad un partito.
Le sconfitte portano con sé come corollario inevitabile la necessità di voltare pagina. Il che si traduce in un’assunzione di responsabilità da parte dei gruppi dirigenti. Qui si colloca il bisogno inderogabile di ripartire con energie nuove, più credibili, non percepite o percepibili come corresponsabili di infiniti errori, di un numero infinito di battaglie perse. Assumersi soggettivamente la responsabilità della sconfitta e non andare avanti come se niente fosse è indispensabile. Così come lo è riconsegnare il prima possibile la sovranità agli iscritti, ai militanti, agli elettori che ci hanno dato fiducia. Urge un processo democratico di confronto e partecipazione tra di noi, vero, senza rete, che non si traduca nel verticismo oligarchico che abbiamo sperimentato negli ultimi mesi. Un processo democratico che proponga un nuovo gruppo dirigente e che lanci la parola d’ordine della costruzione di un Partito Democratico che può avere un senso, una “ragione sociale”, se saprà, con l’aiuto di tutti, trovare il coraggio di essere all’altezza del nome che si è voluto dare altrimenti, purtroppo, mancherà alle premesse e alle promesse in cui tanti, abbiamo creduto.
Finalmente una analisi che sfiora il limite della perfezione…