Non è bastata la crisi della prima ondata epidemica, con migliaia di lavoratori costretti a lavorare in condizioni ancora più precarie del solito e senza dispositivi di sicurezza. Si aggiunge adesso un secondo lockdown“colposo”, frutto dell’inadeguatezza del governo che, si scopre proprio ieri, continuava ad affidare la gestione commissariale della sanità ad un generale dei carabinieri che non era neanche consapevole dei suoi compiti. A ciò si aggiunge il classismo di un’amministrazione regionale che, invece di impugnare l’illegittimo piano di rientro sanitario, impugna superficialmente lo status di “zona rossa” senza riconoscere quanto a questo abbiano contribuito la continua delega alla sanità privata di funzioni essenziali e lo stanziamento di aiuti Covid solo ad imprese senza porre nessuna condizione in termini di rispetto delle protezioni individuali. L’Unione Sindacale di Base, le forze sindacali conflittuali e di classe, i comitati popolari per il diritto alla salute che sottoscrivono questo appello di rivendicazioni immediate chiamano all’unità e alla lotta le classi lavoratrici e popolari della regione, per pretendere un sistema sanitario pubblico di qualità, ben finanziato e slegato dalle logiche del profitto della borghesia locale. Al motto di LAVORO, SALUTE, DIGNITA’, sarà inoltre diffuso tra i diversi settori lavorativi della Calabria l’invito alla lotta congiunta, nelle assemblee e nelle piazze, sul web e sui luoghi di lavoro. Il fine ultimo della lotta sarà costringere materialmente le istituzioni a mettere in pratica qualsiasi misura sia necessaria per tutelare la sanità e l’occupazione dignitosa. L’USB èin prima linea in questa lotta, consapevoleche la soluzione immediata per ottenere le risorse necessarie può essere solo la requisizione della sanità privata e una grande patrimoniale del 10% sul 10% più ricco della popolazione.L’appello è aperto ad altre adesioni da parte di realtà lavorative e sociali che ne condividano i contenuti e la prassidescritti.Altre firme sono in attesa.
Appello dei lavoratori e delle forze sociali calabresi
E’ confermato che la Calabria sia stataistituita “zona rossa” –ai sensi dell’ultimo DPCM –non per via del suo indice di contagio,ma per la debolezza strutturale del suo sistema sanitario.
Le realtà che sottoscrivono questa lettera invitano la cittadinanza, soprattutto tutti i settoripopolari e dei lavoratori precari della regione (i più colpiti dalla norma) a non accettare passivamente la misura, ovvero a non accoglierla senza denunciare le responsabilità politichedi un provvedimento che poteva essere evitato.Le stesse classi lavoratrici e popolari calabresi hanno dimostrato, attraverso la grande mobilitazione avvenuta a Cosenza l’ultima sera prima del lockdown, di essere coscienti del fatto che solo una sanità e dei servizi pubblici non piegati alle logiche del profitto avrebbero potuto risparmiare alla regione questo ennesimo disagio.Parliamo soprattutto alle classi lavoratrici e precarie perché sono queste ad aver supportato, sulle loro spalle, i costi del primo lockdowne sono, ora,in procinto di sostenere i maggiori disagi del secondo. Vogliamo ricordare i gravi ritardi nell’erogazione del bonus Inps ai lavoratori stagionali, i licenziamenti in tronco (ad aggirare il “blocco”) di lavoratori forzatamente in nero o in “prova”, l’incremento –nei quattro mesi di boomestivo –di trattamenti degradanti come la mancanza di tutele anti-Covid perpetrata da categorie come i proprietari dei villaggi turistici. Ricordiamo che adesso molti lavoratori stagionalie non solo, per via di contratti part-timeo di rapporti in nero “giustificati”ancor di più dall’emergenza economica,hanno difficoltà a ottenere un sussidio Naspi consistentee devono sperare nei bonus una tantumdel governo. Ricordiamo la mancanza totale di inquadramento legale dei tirocinanti della PA che chiedono, anch’essi, un sostegno strutturalee le battaglie dei lavoratori delle ditte di trasporto, dei call centre, della nettezza urbana e degli assistenti sociali per vedersi assicurate condizioni di lavoro in sicurezza, oltre che versamenti salariali regolari. Ricordiamo, infine, il sacrificio di tutti i lavoratori sanitari, costretti a turni rischiosi e oberanti a causa dell’emergenza e che da anni si mobilitano per chiedere la stabilizzazione per tutti.Di tutta questa situazione l’amministrazione Regionale –che ha annunciato di recente un altro stanziamento di 110 milioni per le imprese, anche questo a fronte di nessun accordo sulla tutela salariale e contrattuale dei dipendenti –è corresponsabile.Molte sigle sindacali denunciano da mesi la quota di fondi Covid non spesi dall’amministrazione regionale.Ma è importante sottolineare perché dei fondi non sono utilizzati in maniera immediata ed efficacie.Ciò può avvenire, in primo luogo, per le inefficienze stesse che caratterizzano il sistema regionale (e che richiederebbero una centralizzazione del servizio sanitario), come mancanza di personale adeguato allo svolgimento delle procedure o freni derivati da personalismi e clientelismi locali.Ma, soprattutto, ciò avviene perché poche decine di migliaia di euro una tantumnon sono assolutamente sufficienti per attrezzare un sistema regionale da decenni sottofinanziato. Ad esempio, è notizia ufficiosa chea Tropea non sia statoinstallato un reparto Covid perché, pur avendo disponibilità di spazi e di fondi per le strumentazioni, ci si è trovati impantanati nella mancanza di personale specializzato.La Calabria, come le associazioni e le realtà sindacali sottoscriventi denunciano da mesi,spendeda anni,pro-capite,fino a duecento milioniall’anno in meno della media nazionalein sanità, perché non ricevefondi perequativi commisurati alle sue esigenze epidemiologiche.Questo rende il piano di rientro moralmente illegittimo,oltre che incostituzionale.Questo è alla radice dell’impossibilità di agire con prontezza nell’allestimento di locali di emergenza e nell’aumento dei posti letto. Questo, ancora, è alla base di follie come la diminuzione da 4,47 a 2,98 posti letto ogni mille abitanti negli ultimi dieci anniedella perdita, nello stesso periodo, di 3800 unità di personale, o di iniquità locali dovute alla guerra fra poveri dei territori (che portano, ad esempio, Catanzaro e Crotone a contare quasi 4 posti letto ogni mille abitanti di fronte ai 1,57 di Vibo Valentia). Questo, infine, è la causa per cui la Regione sborsa una rata annuale da 30,7 milioni a un tasso usuraio annuo del 5,89%per ripagare i debiti sanitari contratti con il Governo.L’amministrazione Regionale è stata totalmente passiva di fronte a questa situazione conclamata e non ha esercitato alcuna pressione politica o giuridica per cercare una soluzione–soluzione che va trovata necessariamente di concerto col Governo centrale, alla luce dei noti tagli al SSN nazionale che hanno colpito non solo la nostra regione.La Regione Calabria ha anzi utilizzato quel poco di margine finanziario disponibile non per prevenire la seconda ondata, dirottando i fondi sulla medicina territoriale o imponendo tramite accordi sindacali e controlli il rispetto delle misure preventive alle aziende turistiche (oltre che il rispetto della dignità dei lavoratori), ma per elargire pacchetti regalo agli ambienti imprenditorialiche erano la propria base elettorale, pacchetti che alla luce dei ristori già previsti dal Governoe dell’esplosione turistica dei mesi estivi appaiono inoltre poco urgenti(secondo il