di Giuseppe Marino

È stata deliberata dal Consiglio Comunale del 21 u.s. l’acquisizione al patrimonio comunale del palazzo Godano di Via Mandorleto, sito nei pressi della stazione ferroviaria, in vista di un suo recupero e riuso quale “casa del vino”, luogo dove proporre iniziative di promozione, formazione e valorizzazione del territorio attraverso quello che è il suo principale marcatore identitario: il prodotto vitivinicolo, che rappresenta circa l’85% di quello regionale.
L’immobile è stato individuato, alla fine di un iter tecnico-amministrativo, oltre che per la sua valenza storica, anche per la sua posizione facilmente accessibile e dotata di ampie superfici di parcheggio. Gli spazi saranno attrezzati con sale espositive, laboratori, aule formative e per eventi culturali, che includano artigianato, arte, mostre, esposizione di prodotti tipici ed enogastronomici.
Come ha illustrato il Sindaco Sergio Ferrari, si utilizzerà un finanziamento nell’ambito del CIS Calabria “svelare bellezza” (Contratto Istituzionale di Sviluppo), pari a 2 milioni di euro.
L’edificio, risalente al settecento, è uno dei più antichi di Cirò Marina, insieme al Palazzo del Principe (castello Sabatini). È stato in passato residenza dei vescovi della Diocesi di Umbriatico. È composto da due ali di due piani più due ammezzati. Comprende un ingresso porticato e un cortile interno pavimentato con pietre di fiume e mattoni di laterizio. Include inoltre una cappella privata.
A seguito dell’alienazione dei beni ecclesiastici, le due distinte ali del palazzo furono acquistate da Giuseppe Terranova e Michele Zito, il quale poi cedette la propria quota al primo. Pertanto l’intera proprietà passò al Terranova, e da questi alle figlie Teresa Terranova, sposata con Tommaso Aloisio, e Ada Lina Terranova sposata Godano. Negli ultimi anni l’edificio è stato abitato da Antonio Godano. Gli attuali proprietari sono gli eredi della signora Godano Maria Rosaria sposata Vitale.
Cirò per la sua posizione più accessibile e sicura era sede abituale dei vescovi, in quanto era anche il centro più grande della Diocesi, sia per numero di abitanti, che per la presenza di un clero numeroso. I vescovi pertanto avevano trasferito la loro residenza nelle due sedi dell’Episcopio, all’interno delle mura, e della Marina in contrada “Amendolito”, oggi Via Mandorleto, lasciando il sito di Umbriatico troppo isolato e insicuro.
Quest’ultima sede era abitata soprattutto nel periodo invernale, da ottobre ad aprile, mentre lo era di meno nel periodo estivo, per il pericolo della malaria, che infestava le zone litoranee, e delle incursioni turchesche.
I vescovi di Umbriatico godevano di consistenti rendite e diritti. in territorio in Cirò, alla metà del Settecento, comprendevano due palazzi con le loro botteghe, sedici censi enfiteutici su case, terreni e beni e sei fondi rustici (Amendolito, Salvugari, Musesa, Marinetto, Aridonniche, Il Palazzo, Li Cotri).
I vescovi avevano valorizzato i fondi rustici in possesso della chiesa ripristinando le coltivazioni e costruendo case coloniche per i contadini. Sul fondo detto “Amendolito” avevano fatto costruire casette per i coloni in modo da facilitare l’affitto del fondo e ripristinare l’antico giardino ricco di sorgenti, dove esistevano alberi di mandorlo, da cui il nome della contrada, facendovi impiantare agrumeti, oliveti e molti alberi da frutto.
La costruzione della residenza episcopale di contrada “Amendolito”, in dialetto “Mennulito”, risale al 1753, per opera del vescovo Domenico Antonio Peronaci (in carica dal 1733 al 1775) e proseguita per fasi successive fino al XIX secolo. Nativo di Serra San Bruno, il Peronaci si era laureato a Napoli in Utroque iure ed era uno studioso di materie giuridiche e teologiche molto apprezzato in Vaticano. Governò la Diocesi per 43 anni in un momento difficile contrassegnato dai moti rivoluzionari e dalla restaurazione. Il vescovo Peronaci realizzò molte opere nella Diocesi, tra cui molte a Cirò. Tra queste la costruzione al posto delle molte casette, che costituivano la residenza vescovile, della nuova sede in contrada Amendolito, consistente in un palazzo dalla nobile struttura. In esso il presule, quando faceva residenza, abitava con la sua famiglia e cancelleria. L’edificio era formato da sette membri superiori con i rispettivi inferiori ed aveva un giardinetto. L’opera del vescovo Peronaci (nel ritratto) rispecchia le esigenze dei suoi tempi. Le sue attenzioni furono rivolte a dare sollievo alle plebi rurali, abbruttiti dalla fatica, sfruttati e vessati dai baroni ma “docili, umanissimi e molto religiosi, pur essendo ispidi nell’aspetto e rudi nei modi”. Tutto ciò, d’altronde, e l’appoggio delle plebi consentivano alla chiesa di contrastare il potere del feudatario e le rivendicazioni giacobine, e quindi mantenere il proprio potere. Morì a 93 anni di età nella contrada dell’Amendolito, nel palazzo da lui fatto costruire e che ora sarà recuperato. Il suo corpo fu poi trasportato in lettiga per la sepoltura ad Umbriatico, nella cripta della cattedrale.
Era ora! Ottima idea!