Sono “brevi storie inconsuete” offerteci con taglio poetico, lo stesso che ci deliziò negli anni passati nel leggere e “cum – prendere” i suoi versi con i quali con spontaneità e naturalezza affronta i temi della sofferenza, dell’ipocrisia, della falsità, del nascondersi; insomma poesia che vive e vuol vivere i colori della vita con entusiasmo anche se talvolta sono rabbuiati da sogni lontani, da nostalgie e da pensieri non sempre chiari che la quotidianità ci regala. Lo capiamo rileggendo Nostalgia a colori laddove la Nostra scrive: “Come un pittore senza musa / guardo il cielo e il viola dei fiori / che si mescolano alla roccia arida. / L’azzurro del mare / è come uno zaffiro incastonato nell’infinito / e il verde dei fichi d’India / è sbiadito dal sole infuocato. / Ma la mia anima / cerca un’altra tavolozza / dove l’ocra delle case / spicca fra la nebbia grigia/ il marrone delle colline / è fertile come ventre di donna / il rosso dei tetti / è caldo / come la sua gente.” E questi colori che dànno calore alla vita e sono auspicio di vita, vera vita, sono rappresentati in queste “brevi storie inconsuete”, insomma i “Fotogrammi” di Cristina Santucci ( Ed. & My Book – Vasto, 2010). Sono otto racconti in cui la nostra poetessa – scrittrice, nativa di Bologna ma crotonese a pieno titolo, conferma il voler restar fuori dai luoghi comuni, talvolta impostici da certa letteratura, per affermare la propria dignità di donna di grande cultura umanistica e vicinanza all’Assoluto. Ha viaggiato molto l’amica Cristina e, tra un viaggio e l’altro, ha saputo e voluto anche ritagliarsi gli spazi per la meditazione e la riflessione sulle vicende terrene dell’uomo, riflessioni che ha voluto e vuole trasmettere agli altri attraverso la scrittura sincera, che parte dall’acuta e sensibile osservazione degli uomini che talvolta accettano il quotidiano o lo trasformano anche senza ribellione. Come la Giorgia del “Ritorno a Calcutta”, il racconto che apre la raccolta. Giorgia, senza sforzi eccessivi apparenti, convinta però che “il sacrificio per essere vero deve costare, deve far male, deve svuotarci di noi stessi”, nella città indiana, tra i tanti lebbrosi, nella “moltitudine di povere anime, buttate a terra insieme a mucche e melma”, Giorgia cambia il suo stile di vita, una vita non dissoluta ma stravagante sì, indossa il saio che fu della Beata Teresa.
È una scelta di vita, segno e messaggio di una presenza aperta sull’infinito di Dio, scelta radicale, vita di amore. Perché “l’amore è tutto, abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi” come scrive l’altra Teresa, la santa Teresa di Gesù Bambino. Giorgia rinnega comodità, lussi, una professione, una condizione sociale agiata, alquanto in vista, e dice “no” a tutto questo; rinnega il suo Davide al quale vuole bene “ ma ora è tutto diverso. C’è qualcosa di più grande da seguire”. Riafferma il suo “no” per dire “si” al matrimonio con Cristo, con la croce del Cristo che è negli “ultimi” del mondo. Vuol divenire madre spirituale di tantissimi figli abbisognevoli delle sue preghiere e del suo instancabile lavoro; capisce Giorgia che il vero itinerario della sua vita è quello di seguire Cristo nei diseredati di Calcutta. Cristina Santucci ci offre un iniziale spaccato della vita come vorrebbe che fosse, come quella che si vive in “una baraccopoli piena di fango e umanità straripanti”; come quella che si respira vera davanti all’ineluttabilità del corpo gelido dell’amata, come in “L’addio”, il secondo racconto. Mi fermo qui. Gli altri racconti, pur nella loro brevità, costituiscono una miniera di sentimenti, di valori, di belle e piccole cose che non vanno sperdute tra l’indifferenza della città, tra anonimi agglomerati dove i drammi e le feste non conoscono più comunità. Sono racconti che vanno decisamente letti e “cum – presi”. Tutto è misura, delicatezza e leggerezza in queste pagine. Tutto si misura e commisura sul quadrante del cuore che, dall’ombra, emerge per mostrarsi nella sua interezza di vita e d’amore. Qui ritroviamo gli argomenti capitali del nostro vivere: il tempo e la memoria, la vita e la morte, l’amore, il sonno e il sogno, il senso e l’assurdo, il male e la malattia, l’essere e il niente. Tutto è come un anello di congiunzione tra passato e presente, per poi proiettarsi nel futuro. Al postutto la scrittrice calabro – emiliana ci offre il ritorno ai valori universali, vero rimedio ai tanti mali sociali e lo fa attraverso racconti e versi che le consentono di esprimere sentimenti profondi perché tutta la sua liricità nasce dall’amore e dalla vita che vive quotidianamente. Con Cristina Santucci è tanta la denuncia vibrata e illuminata, pura, incisiva sorretta dall’amore che è la ricchezza da custodire in un mondo di incertezze.