di Luigi Ruggiero. Nella Crisopoli dei greci, la Parma magnificata da Stendhal, alla Libreria Feltrinelli – in cui è bello “origliare” tra i banchi, assaggiando libri e dischi – l’affascinante Nadia Bertolani presenta il libro della ciromarinese Roberta Manfredi, “Al di là di me”, pubblicato da Europa Edizione in febbraio 2014. La Feltrinelli, lo spazio innovativo che si incunea nel complesso polifunzionale Barilla Center disegnato da Renzo Piano, è da tempo che incontra gli autori emergenti. Con “Al di là di me”, il 15 maggio, la Feltrinelli – tra studenti, docenti e una discreta rappresentanza della Cirò Marina che vuole crescere – incontra Roberta Manfredi, che racconta la sua storia di piccola margherita nata tra rovi di more, che diventa grande e nella lettera del nono posto dell’alfabeto dà nome alla rosa che ha protetto il suo percorso di vita. Nadia Bertolani, “incerta tra euforia e tetraggine”, che comunque fa spuntare il futuro tra “l’erba del giardino”, scrittrice di “L’uccellino di Maeterlinck”, “Di pietra e di luna” e “Brumby, “Toccata e fuga”. “Oroscopi nella notte e un mucchietto di sabbia”, legge Roberta e le prime pagine di “Al di là di me”, “Su di una rupe intravidi lo sguardo, m’incantava, mi ipnotizzava. Occhi rossi, infuocati, era il male che mi aveva avvistato, all’inizio non capii, era tutto così ombroso, cupo, buio, che nemmeno a camminare riuscivo”. Poi, competente, decisa, eclettica, ragiona con l’interessata platea “Comincia così il viaggio della protagonista proprio su questa rupe in cui si respira un’atmosfera quasi gotica, e subito dopo c’è un frenetico susseguirsi di spazi i più diversi. La protagonista comincia il suo viaggio e affronta spazi sterminati e spazi angusti. Affronta soprattutto il mondo capovolto di fondo, formato da case sottosopra; affronta un mondo fiabesco come la cavità di un albero nel quale penetrare o botole nelle quali precipitare. Affronta il mondo del paradosso, perchè li chi comincia a correre non riesce mai a staccarsi dal punto di partenza. Sono luoghi estremamente misteriosi. Sono luoghi che possono essere aridi – e viene in mente la terra desolata di Elliot – sono luoghi paradossali e in tutti questi luoghi, che si susseguono l’uno dopo l’altro c’è una sorta di domanda che sorge spontanea. Che razza di viaggio è mai questo? Quali sono i luoghi che la protagonista attraversa ad una velocità incessante? È un viaggio che disorienta perché non ha una direttrice precisa; perché mancano tutti i punti di riferimento; perché non ha comunicazione. È un viaggio dove tutto sembra un gioco linguistico, ansiogeno, e dove tutto sembra un disegno privo della terza dimensione, come se la scissione tra l’io della protagonista e il mondo che la circonda si traducesse nella scissione , nella frattura tra i segni, tra le parole e le cose. In questo libro realtà e irrealtà si mescolano fortemente e sembra quasi che a volte il linguaggio fatichi a tradurre questa mescolanza. Certamente è un viaggio fantastico, ci sono anche pagine estremamente fantasiose, ma sarebbe riduttivo parlare di un viaggio fantastico”. Molto seguita, continua la docente-scrittrice “leggendo alcuni passi del Libro viene in mente la protagonista di un altro libro: Alice di Lewis Carrol. Vi è qualcosa in comune, abbiamo il signore con la quadrumpipa, giochi linguistici, le botole. Ci sono pagine in cui certi riferimenti vengono alla mente. Ma siamo fuori dal tracciato.
La protagonista non è un’Alice nel paese delle meraviglie, non è un Alice che attraversa lo specchio, e’ un ATREBOR, si chiama così, lo scopriamo a libro già inoltrato, ed è chiaramente l’immagine restituita specularmente, di fronte allo specchio, del nome Roberta. E questa Atrebor non è una, c’è ne sono tante di Atrebor. Come se la protagonista, invece di attraversare lo specchio lo avesse mandato in frantumi e nei mille pezzi di questo specchio si riflettesse la sua identità frantumata, sofferta, perduta. C’è sempre il male in agguato” Conclude Nadia Bertolani “Se io dovessi definire il viaggio di “Al di là di me” lo chiamerei un viaggio allegorico, perché è evidente che Roberta ha ben presente le letture dantesche. Che l’abbia voluto o no Dante c’è. C’è ad esempio quando ad un certo punto compare il riso illuminante di un angelo gigantesco; c’è ad esempio quando si legge di quella ruota armonica di animali e a cosa rimanda se non alla ruota celeste dei beati dell’Empirio. In Roberta Manfredi c’è soprattutto una tecnica di scrittura che è estremamente importante, che ci richiama a Dante ed è l’ allegoria: l’allegoria, che è una figura retorica molto interessante, perché a differenza del simbolo si basa su una frattura tra il particolare e l’universale; l’allegoria, che richiede non un intuizione immediata – non è che leggendo immediatamente noi comprendiamo di che cosa mai si stia parlando; l’allegoria, che richiede un ragionamento, un’ operazione razionale. Il libro di Roberta Manfredi richiede quindi l’intervento del lettore, che deve essere parte attiva del libro, che deve essere a fianco della protagonista e con lei cammina per i sentieri del mistero, sotto la rupe e oltre la rupe”. Ivan Paterlini, psicologo e psicoanalista junghiano, pure intervenuto alla presentazione di “Al di là di me” ha paragonato il racconto della Manfredi alle fiabe dei Grimm, dove vi è sempre un insegnamento in base al vissuto del lettore. Sulle acute “provocazioni” di Paterlini, ricercatore nell’ambito della psicologia analitica, Roberta ha quindi detto “ Il mio libro non è un’autobiografia ma un viaggio introspettivo, che affronta alcune delle problematiche dell’essere umano, che, direttamente o indirettamente, tutti quanti, nell’arco della nostra vita abbiamo incontrato. All’interno del mio racconto si attraversa dal momento più buio, da Fondo, all’evolversi appunto dell’essere umano, che non necessariamente lo porta a risolvere completamente tutti i suoi problemi, ma comunque, lo porta a fare trasformazioni,talvolta ad uscirne o comunque in tutti i casi, ad andare al di là. Da qui il titolo del libro”. Conclude la giovane e bella scrittrice-psicologa di Cirò Marina “Per quanto riguarda l’olocausto, che è citato nel libro da un personaggio con il nome anagrammato, il messaggio che voglio mandare riguarda la volontà. Come la volontà di una sola persona possa essere così forte, così potente da riuscire a plagiare, non solo un gruppo, un paese, una nazione, ma l’intero mondo. Questa è una situazione ambivalente, nel senso che, da una parte troviamo la potenza della volontà, dall’altra la debolezza della volontà della massa, che rinforza la volontà dell’uno, perchè ha la necessità di seguire qualcosa o qualcuno, di avere un leader o più semplicemente di giustificare i propri errori e di poter dare la colpa a qualcosa o qualcuno che non sia se stesso. Il fatto che la gente non fa viaggi introspettivi porta a non ammettere i propri vizi, le proprie debolezze che sono insiti in ognuno. Nell’essere umano c’è sempre stata la ricerca di un eroe positivo o negativo che esso sia. Come disse Bertold Brecht nella ” Vita di Galileo” in un dialogo tra Galileo e un suo allievo: sventurata la terra che non ha eroi; sventurata la terra che ha bisogno di eroi“. La performance culturale di Roberta Dattilo Manfredi è stata dunque un successo: un successo da rinnovare e novellare nella sua Cirò Marina per un libro da leggere, su cui riflettere.