Lo scorso 23 marzo, quando l’Italia cominciava a capire cosa volesse dire “io resto a casa” e l’epidemia Covid manifestava tutta la sua virulenza, l’Amministrazione Penitenziaria si faceva carico del confezionamento di mascherine in Tessuto Non Tessuto, in applicazione dell’art. 15 del D.L. 18 del 17 marzo 2020 agli istituti ove vi fosse un laboratorio di sartoria.
Il via libera del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha fatto si che ci si ingegnasse per l’autoproduzione delle mascherine nelle diverse realtà penitenziarie della Repubblica.
Da qui l’idea fortemente voluta da Giuseppe Carrà, direttore della casa circondariale di Castrovillari, di rimettere in attività la sartoria nella sezione femminile: “certamente la difficoltà nel reperimento dei presidi DPI che in marzo risultavano introvabili, ha giocato un ruolo sostanziale nella decisione di riattivare la sartoria, ma la valenza trattamentale del progetto ha dato la spinta propulsiva: perchè il carcere deve e può essere lo strumento per restituire alla società dei cittadini migliori”, afferma. Ed ancora “il lavoro è uno degli elementi fondamentali che la nostra legislazione prevede per la rieducazione dei ristretti, ed ancor di più tale attività acquista una valenza positiva quando è prestata in termini di volontarieta: le detenute infatti prestano la loro opera al solo fine di contribuire alla sicurezza ed alla prevenzione del contagio non solo per l’ Amministrazione Penitenziaria, ma la previsione futura è quella di una distribuzione sul territorio del Comune ma anche ad altri Enti e Istituzioni, con cui si avvieranno appositi contatti ufficiali per la distribuzione gratuita dui questi fondamenti strumenti di tutela sanitaria”.
Il carcere di Castrovillari non è nuovo ad esperienze di inclusione sociale e di giustizia ripartiva e, nel solco già tracciato dalle precedenti esperienze, in tempi brevissimi, sono state individuate tre detenute, abili nei lavori sartoriali, che, interpellate hanno immediatamente manifestato l’entusiasmo e la voglia di dare il loro contributo nei difficili giorni di emergenza Covid 19, prestando il loro lavoro punto dopo punto, taglio dopo taglio, per ricucire, non solo il tessuto, ma anche lo strappo con la società!
Il risultato ottenuto, di assoluto rilievo, è nato dalla sinergia delle diverse aree dell’Istituto, dall’area sicurezza con il Comandante Di Giacomo, all’area trattamentale con il Funzionario G.P. Bloise, che, hanno messo in campo le migliori energie personali e professionali creando uno spirito di squadra con cui hanno contribuito alla realizzazione di questa importante iniziativa, in cui il penitenziario del territorio pollineo spicca nel dare lustro al proprio territorio e alla Calabria in quanto in regione sono soltanto due gli istituti che hanno portato avanti questa iniziativa. D’altro canto, proprio per la difficoltà di reperire materiale igienico-sanitario da trasformare in dispositivi individuali di protezione, vi è stata una immediata collaborazione attiva con il Ser. D. intramurario che, grazie alla disponibilità del suo dirigente Cortese, ha fornito, per le fasi preliminari ed al fine di consentire la realizzazione il prototipo alle sarte/detenute, del tessuto TNT.
Ecco dunque come il carcere diventa strumento di riparazione e sicurezza! Da un lato, le persone ristrette forniscono il proprio contributo volontario per contribuire ad alleviare le sofferenze di buona parte della popolazione e, dall’altro, contribuiscono alla sicurezza della cittadinanza fornendo presidi sanitari di protezione, soggetti a specifica autorizzazione dell’Università di Catania.