Nel ripercorrere la sua acculturata penna nel presentare il libro si legge:” è un’apertura intenzionale su un mondo, una visione di insieme e di particolari, un omaggio alla sua terra natale e ai suoi genitori. Vorremmo soffermarci su tanti squarci d’azzurro colti dall’alto dei tre colle… La figura dominante è quella contadina, la casa tipica è quella grigia con le finestre bruciate dal sole e i tetti di argilla. Le viuzze sono quelle che inevitabilmente portano a valle, dove il lavoro si fa dovere e preghiera ed allena l’animo alla pazienza, al sacrificio e alla speranza dei “perdenti”. Le descrizioni non indulgono alla speciosità tutto è ridotto all’essenziale, al tratteggio, all’accenno. E tale semplicità di tratti si fa stupore e scoperta di visione antiche: l’asinello tirato per la gravezza del suo padrone; l’uomo cattivo che nella sua vita raccoglie solo gramigna; immagini di farfalle ammaestrate che volano di valle in valle; il rammarico per le querce tagliate; i canti della donna cirotana alla fontana e nei vigneti durante la vendemmia; il canto dell’usignolo che cerca il bosco che non c’è più; l’invocazione alla forza della natura e al tuono che colpiscono i dissacratori del paesaggio agreste; la sosta alla chiesetta di campagna; le porte del paese, la piazza, la chiesa, il castello pensati e visti con ingenuo trasporto, ma attraversati da guizzi di austera, dignitosa, fierezza.
Questo è il verso di De Fine, un verso pacato, un incidere sereno che ti invita alla riflessione… e se ne sente tanto il bisogno in questi luoghi di recente, diffusa “povertà”, perché su queste contrade possa fiorire, col canto del poeta, quella civiltà antica che ha dato alla Calabria santi, poeti e scienziati. Innanzitutto mi piace soffermarmi sul titolo della raccolta: La terra dei poveri. Che poi è Cirò, poiché la raccolta è interamente dedicata ai siti di questo paese illustrato dai vari Lilio, Lacinio, Casoppero, Astorino, Pugliese, Siciliani, San Nicodemo, ma fondamentalmente paese di “poveri”. E già nel titolo c’è un aggancio provocatorio e comunque coraggioso. Altri ci hanno presentato la Cirò dotta, De Fine ci riporta all’Humus di questa terra e di questa gente umile che tanti dotti ha prodotto. C’è oggi tanta povertà di valori e di vissuto quotidiano, c’è tanto impoverimento culturale e degrado sociale. De Fine, da vero artista, vorrebbe fare riemergere Cirò dall’abbandono in cui è caduta. Solo un poeta poteva concepire un progetto così ardito e solo chi ama con cuore da poeta può credere in una rinascita morale e spirituale del proprio paese. I poeti non tornano mai!!! scriveva Scarpelli- “- Dante diceva: Non si volge chi a stella è fisso! -Foscolo sogna la sua Zacinto – perché la poesia è un viaggio senza ritorno verso la perfezione, il vero, l’infinito, l’assoluto. Talvolta però anche i poeti si fermano a ripensare ed a rivisitare momenti e luoghi amati e sognati da lontano. E questo, anche per il De Fine, è un momento di sosta nel suo andare”. Preziose sono le parole scritte dall’illustre professore Scarpelli, dal significato contemporaneo se non futuristico, di un libro scritto piu’ di venticinque anni fa.