Ancora una volta a rileggere Giorgio Bocca “L’inferno- Profondo sud, male oscuro”, (1992) che tanto ha fatto discutere negli anni, per una riflessione da offrire ai nostri lettori. Siamo all’immediata vigilia di una consultazione elettorale qual è quella regionale che vede, non più contrapposizioni ideologiche o proposte programmatiche serie pro Calabria, soprattutto la corsa sfrenata, ad un improbabile posto al sole, di tantissimi corridori candidati. Perché? Per continuare a colonizzare, in maniera endogena, la Calabria e il sud, per espropriare e continuare la cultura clientelare, quella di sempre? Dico “endogena” perché operata dal di dentro, non da stranieri ma dai nostri stessi politici conterranei. Che è ancora peggio. Ma la storiografia ci tramanda anche dell’altro. Bocca si chiede: “C’è stata una precisa intenzione da parte del capitale e della finanza nordisti di tenere il meridione nella sua arretratezza?” Bisogna necessariamente rispondere “si”, c’è stata a cominciare dall’Unità d’Italia. Scriveva, molti anni prima di Bocca, Francesco Saverio Nitti che “la partecipazione ai vantaggi delle spese dello Stato fu quasi tutta a vantaggio di coloro che avevano avuto la fortuna di nascere nella valle del Po…le grandi spese per l’esercito e per la marina; le spese per i lavori pubblici; le spese per gli scopi di civiltà e di benessere, sono state fatte in grandissima parte nel Nord…la politica finanziaria dello Stato ha trasportato una ingente ricchezza dal sud al nord…per molti anni due terzi degli italiani hanno lavorato a beneficio della Liguria, del Piemonte e soprattutto della Lombardia”. Rammento, ancora una volta, i versi di Mastro Bruno Pelaggi, il poeta – scalpellino che sperimentò sulle sue spalle la “piemontesizzazione” dello Stato unitario e, a giusta ragione, considerato un precursore della “questione meridionale”, che scriveva infatti ad Umberto I: “Taliani cu la cuda ndi carculasti a nui.” Cominciava l’esproprio del Sud; i “Piemontesi” spogliarono la Calabria di tutto. Avevamo nel comprensorio di Mongiana, Stilo, Ferdinandea, Serra San Bruno, fino a Chiaravalle Centrale e Cardinale un grande centro siderurgico che sfruttava le risorse del legno e del ferro, le famose “ferriere” borboniche che assorbivano ben 1500 occupati. Tutto raso al suolo per effetto, si badi bene, della cosiddetta legge di “liberalizzazione” del sud che aveva, appunto, compreso il complesso industriale delle Serre tra i beni demaniali da alienare. E gli esempi potrebbero continuare a lungo. Scrive Giovanni Davoli: “Il nuovo Stato italiano si sviluppava in un insostenibile rapporto tra ‘padrone’ e ‘sotto’…spazzò via tutto, anche le illusioni di quanti avevano creduto in una maggiore giustizia sociale…ed ottenne come risultato prima il ‘brigantaggio’ e poi l’espatrio massiccio di decine di milioni di meridionali.” L’emigrazione, sì perché l’Italia “unitaria” aveva necessità di promuovere l’industrializzazione di Piemonte e Lombardia lasciando nella desolazione più completa le lande meridionali. Quanto detto fin qui ci aiuta a capire perché il Sud è ancora alla ricerca di un futuro. Il Sud e la Calabria continuano ad essere prostrati. Negli anni 60-70, tante “cattedrali nel deserto” nella nostra regione e tutte finanziate dall’ex Cassa per il Mezzogiorno ad imprenditori del Nord che hanno quasi subito fatto declinare qualsiasi possibilità di illusioni ed occupazione. Certamente in questo forsennato progetto non era esente qualche “potente” locale. Ed oggi? Ed oggi quanti grossi e grassi industriali del nord “mordi e fuggi”, fino a pochissimi anni addietro, dai finanziamenti di Contratto d’Area, Sviluppo Italia ed altre diavolerie del genere?” Oggi si sta vivendo la desertificazione: la vocazione agricola stravolta e logorata; la creatività artigiana spossata da bizantinismi fiscali; il turismo mai visto come comparto d’insieme capace di industrializzare le nostre risorse naturali e paesaggistiche; i giovani, i nostri figli, anche laureati e diplomati, ancora con la valigia in mano perché costretti a seguire il destino del Calabrese che è quello di “partire” come scriveva lo scrittore e poeta Enotrio. Insomma ancora oggi continua la colonizzazione e la colpa è anche e soprattutto nostra. Diciamocela tutta: neanche col segreto dell’urna abbiamo saputo o voluto rivoluzionare la nostra storia. Già, se siamo alla desertificazione, la colpa è di quei tanti politici dai mille interessi personali o asserviti ad interessi mafiosi o conviventi coi tanti opulenti signorotti del nord ma noi abbiamo dato troppo spazio a persone indegne. Siamo “colpevoli!”. E l’assistenzialismo, la politica dei sussidi, i contributi a “pioggia”, i falsi invalidi, gli occupati a “chiamata diretta”, le protezioni, i portaborse, i favori, gli sprechi? Ce li siamo tenuti. Abbiamo convissuto colpevolmente o per necessità. Oggi davvero è troppo! Il tanto strombazzato “codice etico”, un corpo estraneo!. Abbiamo necessità di eliminare il clientelismo e soprattutto abbiamo necessità di una classe politica, “candida”, capace di stravolgere il passato e gettare le basi per un vivere dignitoso. Dovrà pur venire quella che Corrado Alvaro chiamava “la giustizia in Calabria”.