Siamo giunti all’ultima tappa del viaggio religioso alla scoperta di tre luoghi da visitare nel crotonese. Nella prima tappa siamo stati ai piedi delle montagne presilane, precisamente a Cutro (leggi), nella seconda tappa, attraversando una campagna florida di uliveti e agrumeti, siamo giunti sulle colline verdeggianti protese verso la Sila, fino ad arrivare a Mesoraca (leggi). A quattro passi da Mesoraca subito “la città che ha la fortuna di possedere una delle più insigni reliquie della Passione di Cristo”, come scrisse il compianto P. Venanzio Marturano.
La Sacra Spina di Petilia Policastro e il Francescanesimo
Siamo a Petilia Policastro col Santuario della Sacra Spina. È il convento francescano, che tra castagneti e querceti da secoli si innalza sulle montagne che sovrastano la cittadina presilana a 607 mt di altitudine e tra i fiumi Soleo e Cropa. Molti studiosi hanno sempre sostenuto che Petilia Policastro fosse la Petelia greca che secondo Strabone era stata fondata nel sec. X da Filottete amico e compagno di Ercole e che fu rasa al suolo dai Cartaginesi giacchè i Petilini si erano alleati con Roma. Comunque sia, questa cittadina ha di sicuro origini molto lontane e probabilmente fondata dagli Ausoni o dagli Enotri e successivamente popolata da gente condotta qui da Filottete. Dopo l’assoggettamento ai Normanni, Petilia continuò il suo corso storico di terra infeudata, come tanti altri centri meridionali. Nel 1290 la troviamo possedimento di Pietro Ruffo fino al 1322 quando passò ai Marzano ed ancora ai Ruffo nelle mani di Giovanna e poi ai Granduchi di Toscana ed altri feudatari fino al 1806. Per molti secoli fu denominata Policastro (ancora oggi fra le voci anziane resta questo toponimo) distinguendosi come città ricca e fiorente e patria di uomini illustri e di fede tra i quali: il papa sant’Antero, il Cardinale Fabrizio Caira, i vescovi Luigi Carvelli e Giuseppe Caruso, nonché il francescano Antonio Mannarino autore della “Cronica dell’antica Petelia detta oggi Policastro” e rappresentante della locale Accademia degli “Affumigati”. In questo itinerario, però, il posto di preminenza, tra i figli di Petilia, tocca a P. Dionisio Sacco al quale si deve la presenza della nostra “reliquia” del Cristo. Naturalmente l’origine del Santuario della Sacra Spina è legata alla storia del convento che inizialmente dovette essere una modesta chiesetta, con romitorio per pochi religiosi, intitolata a Santa Maria Eremitana. I primi ospiti furono i Basiliani che ampliarono negli anni il sito fino al 1320, anno in cui passò ai Francescani dedicandolo a Santa Maria delle Grazie. Detti Frati erano stati mandati in Calabria dallo stesso Poverello d’Assisi già dal 1216 e da qui si erano propagati in altri centri del meridione per confermare l’Ordine ed espanderlo. Fu tale e tanta l’opera missionaria di questi primi frati che in Calabria sorsero ben duecento conventi.
Dopo poco più di un secolo di abbandono e decadenza dovuto anche alla peste del 1348 che fece perdere all’Ordine ben due terzi dei suoi seguaci, il convento petilino, come anche gli altri due, riprese vigore nel ‘400 quando anche in Calabria si diffuse un movimento di rinascita francescana detto dell’Osservanza. Successivamente, anche per intervento del Ruffo, il papa Eugenio IV con Bolla del 24 luglio 1431 concesse ai Frati Osservanti il sacro sito petilino. Con l’arrivo, poi, della Sacra Spina, il complesso monastico divenne anche meta di pellegrinaggi da ogni contrada. Secondo la tradizione la Sacra Reliquia è pervenuta durante le Crociate, quando la regina di Francia ebbe in dono, come bottino di crociata, una spina sottratta dalla corona di Cristo e che custodì gelosamente per molti anni nascondendosela sotto la pelle del polso sopportando atroci dolori. Ammalatasi, riferì del segreto al cappellano di Corte che si fece consegnare la Reliquia affidandola ad un frate. Questi la sistemò dentro una teca ed intraprese un lungo viaggio a cavallo lungo tutta la nostra penisola con l’intimo progetto che dove si sarebbe fermata la bestia sarebbe dovuta sorgere una chiesa. La tradizione, appunto, vuole che il cavallo si sia fermato nel bosco di Policastro. Storicamente, le cose andarono diversamente. Il citato P. Dionisio Sacco, vescovo di Reims, nel 1498 ebbe in dono da Giovanna di Valois, moglie di re Luigi XII, un astuccio d’oro contenente la Spina donatale dall’imperatore di Costantinopoli Baldovino II e venerata nella “cappella santa” del palazzo reale edificata appositamente. Il P. Sacco, appena in possesso della Reliquia, pensò bene di donarla al convento patrio per arricchirlo e per confermarne ulteriormente la fede nei suoi lontani concittadini. La Sacra Spina, il 22 agosto 1523 fu collocata nella chiesa dopo averla sottoposta alla prova del fuoco, ovviamente per far tacere i soliti scettici: la Spina anziché bruciare, davanti agli astanti increduli, si levò in alto e andò a posarsi in un calice sull’altare; naturalmente la prova fu ripetuta tre volte con lo stesso esito. La chiesa petilina, nel corso dei secoli, è stata sempre più abbellita ed arricchita di opere d’arte. Qui si possono ammirare: il soffitto decorato da Cristoforo Santanna nel 1764, l’abside con settecentesco fastigio ligneo e particolarmente di pregio notevole una Madonna col Bambino in marmo del Gagini. Di particolare devozione ed emotiva partecipazione, da ogni parte della regione, è il “Calvario”, processione del secondo venerdì di marzo che in costume si porta dalla chiesa di San Francesco fino al Santuario della Sacra Spina.