Viene assassinato ad Ostia, in circostanze forse ancora buie, il 2 novembre 1975. Giusto 40 anni son passati! Scriveva Enzo Siciliano che “ l’emozione per l’uccisione di Pasolini fu enorme: e l’idea che egli fosse stato ucciso in un agguato ‘politico’ si diffuse subito presso moltissimi. Lui il polemista, pubblico accusatore del ‘Potere’, del regime trentennale che governava l’Italia, veniva ‘liquidato’, messo violentemente a tacere, e a tacere nel modo più sofisticato e screditante…”. “Fu questa – aggiungeva Siciliano – forse una forza del mito: quel mito che Pasolini stesso, (consciamente, inconsciamente?) alimentò di sé. Cristo piagato e perseguitato: un San Paolo redivivo che detta ai Romani le proprie cocentissime lettere.” Già il Pasolini marxista e cristiano, amato e odiato. Una cosa è certa, l’aver messo a tacere, così prematuramente oltre che violentemente, una simile voce, un’intelligenza così agguerrita, uno spirito così attento ad ogni vicenda umana, per la letteratura, per la cinematografia, per la cultura, insomma, italiana e perché no anche europea è stata una grave perdita che ancora si avverte. Pasolini è stato provocatore di scandali intellettuali, in ogni tempo del suo pur breve terreno passaggio, già dalle poesie infantili di Sacile dove frequentò la scuola primaria; del resto la copiosa somma di denunce che si attirò è sufficientemente significativa. Come dimenticare la vicenda giudiziaria tutta calabrese per quel “banditi” alla gente di Cutro.
E la dualità, fra l’estate e l’autunno del ’59, che ne seguì tra la Cutro democristiana e la Crotone tutta rossa che gli aveva assegnato l’omonimo “Premio” per il suo secondo romanzo “Una vita violenta”, riconoscimento che veniva da una giuria di tutto rispetto e che vedeva insieme Gadda, Bosco, Bassani, Moravia, Repaci, Sansone, Ungaretti e Rosario Villari. Scusate se è poco! “Banditi” i Cutresi: oggi si direbbe “infelice” espressione di un vecchio leghista. Ma era solo un eufemismo al contrario. Era il “suo” linguaggio che metteva il dito nella piaga, volutamente. Insomma i suoi scritti, i suoi films, avevano il nobile scopo della ricerca della “moralità”, il dare dignità all’uomo e alla comunità, che per i più risultava sconcertante. E così quel “banditi “ di Cutro non voleva esprimere solidarietà alla gente di Calabria? Non voleva essere, dalla sua ottica d’intellettuale, un tentativo di assegnare rispetto e dignità ai lavoratori cutresi che gli erano apparsi esiliati dal contesto della società? Leggiamo le sue impressioni: “Appena partito da Reggio – città estremamente drammatica ed originale, di un’angosciosa povertà, dove sui camion che passano per le lunghe vie parallele al mare si vedono scritte come ‘Dio aiutaci’ – mi stupiva la dolcezza, la mitezza, il nitore dei paesi della costa. Così circa fino a Porto Salvo. Poi si entra in un mondo che non è più riconoscibile[…] . Ecco, a un distendersi delle dune gialle, in una specie di altipiano, Cutro. È il luogo che più m’impressiona di tutto il lungo viaggio. È veramente il paese dei banditi. Ecco le donne dei banditi, ecco i figli dei banditi. Si sente, non so da cosa, che siamo fuori dalla legge, o, se non dalla legge, dalla cultura del nostro mondo, a un altro livello.” Certamente Pasolini non doveva alcuna spiegazione o giustificazione, ma lo fece ugualmente, affidando a “Paese sera” del 28 ottobre dello stesso anno il suo chiarimento, non certamente per captatio benevolentiae, ma per pura onestà intellettuale che non gli mancò mai e forse per dare una lezione di storia a chi poteva intendere solo che lo volesse.
“Dicendo che la zona di Cutro è quella che mi ha più impressionato in tutto il mio viaggio, ho detto la verità: chiamandola poi zona di ‘banditi’, ho usato la parola:1) nel suo etimo; 2) nel significato che essa ha nei film westerns, ossia un significato puramente coloristico; 3) con profonda simpatia;[…] Anzitutto, a Cutro, sia ben chiaro[…]il quaranta per cento della popolazione è stata privata del diritto di voto perché condannata per furto: questo furto consiste, poi, nell’aver fatto legna nei boschi della tenuta del barone Luigi Barracco. Ora vorrei sapere che cos’altro è questa povera gente se non ‘bandita’ dalla società italiana, che è dalla parte del barone e dei servi politici.[…] La storia della Calabria implica necessariamente il banditismo: se da due millenni essa è una terra dominata, sottogovernata, depressa. Paternalismo e tirannia dai Bizantini agli spagnoli, dai Borboni ai fascisti, che cos’altro potevano produrre se non una popolazione nei cui caratteri sociali si mescolano una dolorosa arretratezza e un fiero spirito di rivolta? E appunto per questo non si può non amarla, non essere tutti dalla sua parte.” E per rimanere sempre in Calabria come sottacere quella volta che Pasolini venne a Vibo V. e dentro una libreria venne informato che a Gerocarne, più precisamente nella frazione Ariola di Gerocarne, piccolo comune della provincia vibonese, che qualche giorno prima durante un corteo funebre era caduta la bara finendo in un burrone attraversato da un ruscello. Il poeta cineasta non esitò un attimo e volle recarsi in quella frazione senza strade, in completo abbandono e isolamento in pieno inverno. Pasolini ascoltò quella povera gente e promise un buon contributo perché si costruisse una strada o un ponte. Arrivarono cinquantamila lire e un ponte si fece. Questo è stato Pier Paolo Pasolini. Un Pasolini ci manca davvero…oggi! Ci mancano la sua poesia, la sua letteratura, il suo teatro e il suo cinema. Ci manca cotanto patrimonio perché in fondo, come scrive Vincenzo Cerami, “con gli occhi di Pasolini ho visto l’Italia mutare faccia”. E tutta la letteratura nata ante e post mortem non risarcisce davvero il vuoto lasciatoci in questi 40 anni.