Ricicl’art è un’associazione culturale in senso proprio, perché predica il bene e lo fa, o meglio, lo fa senza predicarlo, lasciando che lo predichino le opere. Benefica insieme l’ambiente e l’uomo, il primo perché il vecchio e l’inutile che marcisce nelle soffitte e nelle cantine o sulle strade e sul greto dei torrenti vengono sottratti al rischio dell’offesa e restituiti all’utilità e alla bellezza. Il secondo perché lo richiama al giudizio, alla parsimonia, alla misura, al giusto uso dei propri beni e delle cose comuni, alla considerazione e al rispetto dell’altrui bisogno. (…). Impariamo dalle nonne: rattoppare, rammentare, fare della pastasciutta avanzata a mezzogiorno un’ottima frittata per la sera. A promuovere iniziative e attività di sensibilizzazione di Ricicl’art è il Preside Giovanni Sapia – Direttore dell’Università Popolare di Rossano “Ida Montalti”. Un certo Socrate – scrive Sapia ai soci e agli organizzatori di Ricicl’art – si illuse che bastasse conoscere il bene per farlo. Sapete invece, dalle parole di altri filosofi e dalla realtà della vita, che non è così e troppe volte è tutt’altro. Ma è innegabile che bisogna conoscere il bene per farlo, cioè che la cultura è alla base della vita morale, della vita sociale. Che cos’è la cultura? Lasciamo da parte l’antropologia e altre più o meno preziose, più o meno compiute o unilaterali, sfaccettature, la cultura è la conoscenza, con la precisione che la conoscenza è cultura quando si trasforma in volontà e capacità di bene, di ricerca, affermazione e difesa del vero. Detto questo, è chiaro che molti così detti, colti non arrivano neppure alla cintola di molti così detti incolti, ma retti e puliti e che tanti gruppi e consorterie e associazioni che si denominano culturali dovrebbero farsi un esame di coscienza. (…). Se proprio volete commentare a parole la vostra opera, dite ai giovani che i loro padri hanno combattuto guerre sanguinose per preparare tempi più felici alle generazioni future, ma che la felicità non è nell’abuso e nello sperpero che, a lungo andare, così insegna la storia, si pagano in un modo o nell’altro dai singoli e dai popoli.
Dite loro che la maggior parte degli indumenti che si accumulano ogni giorno nelle stanze della Caritas, se non sono nuovi di fabbrica e di timbro, sono come nuovissimi e potrebbero vestire regalmente anche infelici nudità di questo mondo. Dite loro – aggiunge – che fino a sessant’anni fa, madri e figlie, nei tuguri come nelle case dei ricchi, conoscevano alla perfezione l’arte del rattoppo e del rammendo e la esercitavano fino all’impossibile coi fondelli; che le madri riciclavano sino alla consumazione brandelli residui di tessuti per ricomporre il vecchio e creare il nuovo; che mio padre sarto, nella sua scarsità di lavoro di certi tempi maligni e nella necessità del pane, usò più volte i nastri accumulati delle corone funerarie per confezionare le fodere, allora introvabili, di un abito da sposo, che nelle sue mani, di genio, di arte, sono certi risultati di riciclaggio che voi offrite come rispettabili monumenti alla società. Dite, ma son cose viste e risapute da tutti, e prima da quegli stessi che la fanno, che i rifiuti dei cassonetti sono loro natura in parte resti da buttare al macero per loro natura, e in gran parte superfluo di cose ben conservabili e utilizzabili, ma rifiutate per voluttà del fresco e del nuovo, e potrebbero consolare molte, troppe case del mondo, e condannate alla fame e alla miseria. Dite che la pastasciutta in supero al mezzogiorno può servire per una ghiotta frittata alla sera e che fino a non molti decenni fa le “ncidde” le bucce di cocomeri e fichi d’india e di altri frutti e ortaggi, mondate e tagliate a frustoli a mo’ di anguille e fatte seccare al sole erano un rifugio nelle case povere e una leccornia sulla mensa dei ricchi e dei nobili. Una madre di campagna, venuta dallo squallore antico di un tugurio agli agi e al benessere di una dimora cristiana, in risposta ad alcune mie osservazioni e domande, mi ha candidamente dichiarato che il forno di casa è stato demolito perché i figli rifiutano la fragranza del buon pane confezionato dalle mani materne e vogliono il panino; che non alleva più il porco perché i figli vogliono la mortadella e rifiutano la soppressata. Di questo passo – si conclude nella lettera – rischio di banalizzare un discorso di evangelica sacralità. Ma il sorriso è dei saggi, quale io non mi riconosco, e della buona coscienza, che io mi sforzo ogni giorno di conservare.